mercoledì 3 settembre 2014

ATTACCO ISRAELIANO A NABLUS



Avevamo passato una bella serata ed eravamo pronte per dormire, come in qualsiasi città di 135 mila abitanti durante l'estate.
E' l'una di notte, una di noi si sta incremando la faccia, pronta per andare a letto, ma......booooom!
E' una bomba, una sound bomb. I soldati israeliani sono qui, nel centro di Nablus. Usciamo in strada per capire esattamente dove sono e sentiamo altre bombe.
Ok, il tempo di mettersi le scarpe e iniziamo a correre. E' l'una di notte. In quel momento mi viene un dubbio “cazzo..siamo distanti dal luogo delle esplosioni e non c'è nessuno in strada, solo noi tre....non vorrei incontrare i soldati prima di arrivare da qualcuno, dagli shebab...”.
Non faccio in tempo a finire la frase che arrivano verso di noi 3 jeeps di soldati israeliani. Ho anche la Kheffia rossa al collo.....
Passo lungo senza correre e attraversiamo la strada per andare dove c'è luce, loro non si fermano. C'è andata bene.
Arriviamo a piedi a Sharatell con alcuni shebab che incontriamo lungo la strada. Pochissimi shebab, devo dire, e il motivo può essere uno solo: i soldati sono qui per rapire shebab.
Nel frattempo ricevo altre telefonate da altre zone, i soldati sono anche a Ras El Ain, Rafhidja e Al Najah. Sono dappertutto, c'è anche la border police.
Iniziamo a supportare gli shebab anche solo con la nostra presenza e le telecamere. Urlo varie vole che siamo internazionali e stiamo documentando con un video quello che faranno; i soldati israeliani, di risposta, ci puntano con il laser del fucile e ci sparano contro a distanza ravvicinata il gas lacrimogeno, più volte.
Quattro ore... a Saharatell, di spari e raid nelle case, gli ho urlato di tutto a quei mostri. Hanno devastato anche un centro sportivo, una scuola materna femminile e un centro di recupero per i disabili.
Finalmente verso le 4,00 si allontanano e vediamo jeeps in altre strade. Ci incamminiamo verso la piazza di Nablus e salutiamo la maggior parte degli shebab. Coraggiosi, come al solito, non si spostavano nemmeno se puntati dal laser del fucile.
Quando arriviamo nella piazza incrociamo un taxi con le portiere sporche di sangue. Il taxista ci dice che ha appena portato un bambino al Rafhidia Hospital: i soldati gli hanno sparato ad una mano. Ha 14 anni.
Decidiamo di andare all'ospedale per vedere cos'ha lasciato israele quando se ne è andato.
Il bambino è sotto shock e il proiettile gli ha perforato la mano. C'è un altro ragazzo ferito da rubber bullet ad una gamba, al petto e alla testa. E' già fasciato e sta bene.
Poi vedo un padre di 60 anni piangere all'ingresso dell'ospedale. Suo figlio sta urlando dentro all'ospedale, si lamenta e chiama gli shebab.
Il figlio si è gettato del terzo piano per non farsi prendere dai soldati. Credo abbia qualcosa di rotto internamente. Non siamo sciacalli dell'informazione e non facciamo pressioni né per fare domande a chi sta piangendo, né a chi sta lavorando.
Un medico ci chiama per documentare tutto comunque quando devono trasportare il ragazzo in sala operatoria. Lo filmiamo con la bombola di ossigeno sulla barella e il sangue ovunque. Questa è l'immagine della “pace” creata da israele.
Torniamo a casa distrutte. Abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare, ma siamo consapevoli che non fermerà il prossimo attacco dei soldati israeliani in Palestina.

Stanno dando il sangue e il resto del mondo va a gin-tonic.

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