Avevamo passato una bella
serata ed eravamo pronte per dormire, come in qualsiasi città di 135
mila abitanti durante l'estate.
E' l'una di notte, una di
noi si sta incremando la faccia, pronta per andare a letto,
ma......booooom!
E' una bomba, una sound
bomb. I soldati israeliani sono qui, nel centro di Nablus. Usciamo
in strada per capire esattamente dove sono e sentiamo altre bombe.
Ok, il tempo di mettersi
le scarpe e iniziamo a correre. E' l'una di notte. In quel momento mi
viene un dubbio “cazzo..siamo distanti dal luogo delle esplosioni e
non c'è nessuno in strada, solo noi tre....non vorrei incontrare i
soldati prima di arrivare da qualcuno, dagli shebab...”.
Non faccio in tempo a
finire la frase che arrivano verso di noi 3 jeeps di soldati
israeliani. Ho anche la Kheffia rossa al collo.....
Passo lungo senza correre
e attraversiamo la strada per andare dove c'è luce, loro non si
fermano. C'è andata bene.
Arriviamo a piedi a
Sharatell con alcuni shebab che incontriamo lungo la strada.
Pochissimi shebab, devo dire, e il motivo può essere uno solo: i
soldati sono qui per rapire shebab.
Nel frattempo ricevo
altre telefonate da altre zone, i soldati sono anche a Ras El Ain,
Rafhidja e Al Najah. Sono dappertutto, c'è anche la border police.
Iniziamo a supportare gli
shebab anche solo con la nostra presenza e le telecamere. Urlo varie
vole che siamo internazionali e stiamo documentando con un video
quello che faranno; i soldati israeliani, di risposta, ci puntano con
il laser del fucile e ci sparano contro a distanza ravvicinata il gas
lacrimogeno, più volte.
Quattro ore... a
Saharatell, di spari e raid nelle case, gli ho urlato di tutto a quei
mostri. Hanno devastato anche un centro sportivo, una scuola materna
femminile e un centro di recupero per i disabili.
Finalmente verso le 4,00
si allontanano e vediamo jeeps in altre strade. Ci incamminiamo verso
la piazza di Nablus e salutiamo la maggior parte degli shebab.
Coraggiosi, come al solito, non si spostavano nemmeno se puntati dal
laser del fucile.
Quando arriviamo nella
piazza incrociamo un taxi con le portiere sporche di sangue. Il
taxista ci dice che ha appena portato un bambino al Rafhidia
Hospital: i soldati gli hanno sparato ad una mano. Ha 14 anni.
Decidiamo di andare
all'ospedale per vedere cos'ha lasciato israele quando se ne è
andato.
Il bambino è sotto shock
e il proiettile gli ha perforato la mano. C'è un altro ragazzo
ferito da rubber bullet ad una gamba, al petto e alla testa. E' già
fasciato e sta bene.
Poi vedo un padre di 60
anni piangere all'ingresso dell'ospedale. Suo figlio sta urlando
dentro all'ospedale, si lamenta e chiama gli shebab.
Il figlio si è gettato
del terzo piano per non farsi prendere dai soldati. Credo abbia
qualcosa di rotto internamente. Non siamo sciacalli dell'informazione
e non facciamo pressioni né per fare domande a chi sta piangendo, né
a chi sta lavorando.
Un medico ci chiama per
documentare tutto comunque quando devono trasportare il ragazzo in
sala operatoria. Lo filmiamo con la bombola di ossigeno sulla barella
e il sangue ovunque. Questa è l'immagine della “pace” creata da
israele.
Torniamo a casa
distrutte. Abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare, ma siamo
consapevoli che non fermerà il prossimo attacco dei soldati
israeliani in Palestina.
Stanno dando il sangue e
il resto del mondo va a gin-tonic.
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