martedì 30 giugno 2015

ALLA FARNESINA E AL CONSOLATO ITALIANO A TEL AVIV




Egregi Ministri, Console e funzionari,

sono Samantha Comizzoli, cittadina italiana. Sono a scriverVi su un dialogo iniziato con Voi mentre mi trovavo sotto sequestro presso la prigione di Givon, Tel Aviv.
Vi scrivo per porVi a conoscenza di fatti da me subiti dal gruppo terrorista che mi ha sequestrata.
  • in data 16 maggio 2015 mi trovavo sulla strada principale Nablus - Ramallah all’altezza del checkpoint di Howwara. Stavo camminando con la mia telecamera per filmare un gruppo di palestinesi che camminava a lato della strada con le bandiere per celebrare la ricorrenza della Nakba. Davanti a noi si sono posizionate 3 jeeps militari israeliane ed uno di loro ha dato ordine ad un soldato di posizionarsi a terra, sull’asfalto e diventare “cecchino”. Il cecchino ha mirato due bambini di 16 anni vicino a me. In quel momento, dato il mio chiaro aspetto occidentale e di donna, ho aperto le braccia e ho fatto da scudo umano ai due bambini. Il cecchino ha, allora, alzato la mira da terra. Mi sono mossa in modo orizzontale perchè stava mirando al mio corpo, ma nonostante il movimento orizzontale, il cecchino ha sparato una prima rubber bullet mirando al cuore e ferendomi al seno sinistro; ed una seconda rubber bullet che ha ferito dapprima il mio braccio sinistro e che ha poi terminato la sua corsa nella maschera antigas di un fotografo, rompendola e colpendolo all’occhio sinistro. Vi allego link del video dell’accaduto (min. 0,51) e foto di quando ho aperto le braccia. https://www.youtube.com/watch?v=IhYWERtvjAY
  • in data 11 giugno 2015 (ore 10,30) ero su un taxi in uscita da Nablus, su una strada che porta a Qalquilja. Il taxi è stato affiancato da una jeep militare israeliana che poi si è portata davanti costringendo il rallentamento; sempre in corsa, i soldati israeliani sono scesi dal retro della jeep e hanno circondato il taxi puntandoci le armi. Io mi trovavo sul retro. I soldati mi hanno aperto la portiera dell’auto puntando i fucili e chiesto i documenti. Non ho dato loro alcun documento, dicendo che non li avevo, poichè sapevo di essere davanti a modalità terrorista. I soldati israeliani hanno continuato ad interrogarmi e ho chiesto di chiamare il mio consolato, ma mi hanno rifiutato la telefonata. Dopo un paio d’ore un soldato ha preso la mia borsa e ha infilato le sue mani all’interno, tirando fuori il contenuto, e trovando il passaporto italiano. Ho richiesto di parlare con il Consolato e ho ricordato loro che non potevano trattenermi per più di due ore, ma loro mi hanno risposto “possiamo fare quello che vogliamo, siamo soldati israeliani”. Da quel momento hanno iniziato a dirmi che “non ero in arresto, ma dovevo andare con loro”. Sul posto è arrivato un tizio, mai identificato, ma che presubilmente faceva parte dei servizi segreti israeliani e la polizia israeliana. Dopo 4 ore nel taxi, hanno lasciato andar via il taxi, mettendo la maschera antigas trovata nel bagagliaio, nella mia borsa (nonostante un altro passeggero avesse dichiarato che era sua). Sono rimasta per mezz’ora sulla strada con un soldato che mi puntava il fucile all’altezza della testa, io ero seduta al ciglio della strada, e l’auto della polizia israeliana. Mi hanno fatta salire sull’auto e mi hanno ripetuto che non ero in stato d’arresto, ma che mi portavano all’insediamento illegale di Ariel. Giunti lì, dopo aver aspettato, sono stata interrogata da due israeliani (non conosco tutt’ora la loro qualifica e non portavano alcuna divisa). Mi sono rifiutata di firmare fogli in ebraico che mi hanno posto e di rispondere a tutte le loro domande. I due tizi mi hanno fotografata, preso le impronte digitali e preso il dna. Dopo un’altra attesa e dopo l’ennesino divieto di contattare il Consolato italiano, sono stata traferita nella prigione israeliana di Ben Gurion. Lì ho avuto un altro interrogatorio, da 3 persone. Ho ribadito di voler chiamare il Consolato Italiano e ho ribadito altresì di non voler rispondere ad alcuna domanda. Fino a quel momento, in tutti gli interrogatori, mi veniva contestato di non avere “visto” israeliano e quindi di presenza illegale. Ho riposto loro che io mi trovavo in Palestina, non in israele, e che pertanto non andavo da loro a chiedere nessun visto. Alle ore 23,00 mi facevano, finalmente, telefonare al Consolato Italiano in Tel Aviv. Dopo la telefonata sono stata sbattuta in cella d’isolamento. In quel momento ho dichiarato: di ritenermi “prigioniero politico”, di iniziare lo sciopero della fame e di non voler uscire dalla prigione fintanto che non venissero rilasciati anche tutti i bambini palestinesi rapiti da israele (circa 300). Nella cella d’isolamento a Ben Gurion sono rimasta per due giorni e mezzo. Alla cella veniva accesa la luce di notte e dopo le prime ore hanno acceso l’aria condizionata, che è rimasta accesa per tutta la mia permanenza, raggiungendo una temperatura glaciale. Nessuno, nelle ore che ero chiusa lì dentro, è mai venuto a verificare il mio stato e nella cella non c’erano telecamere. Sono uscita 5 minuti al mattino e 5 minuti al pomeriggio. Fino a quando sono stata traferita nella prigione israeliana di Givon. All’arrivo a Givon sono stata messa in una gabbia (container) di due metri per uno con un soffitto che potevo toccare con la mano, conteneva un water e l’unica apertura verso l’esterno era un buco di 10 cm sulla porta che non dava all’esterno, ma al corridoio delle ispezioni. Sono rimasta lì per diverse ore, non ho mai bussato e chiesto aiuto, nonostante fosse difficile resistere. In un altro container adiacente al mio, un uomo rantolava e si lamentava, mentre veniva (molto probabilmente) buttato contro la parete (che ci divideva) con un getto d’acqua. Dopo molte ore sono venuti a prendermi e mi hanno portato ad un altro interrogatorio al quale non ho risposto e ho ribadito la mia posizione. Mi hanno risposto che se continuavo lo sciopero della fame rappresentavo un pericolo per la sicurezza e quindi per il resto della mia permanenza, la mia cella, sarebbe stata quella gabbia. Ho interrotto lo sciopero della fame. Sono stata ispezionata corporalmente, ispezionata nel bagaglio e privata dell’unico libro che avevo, del tabacco e della macchinetta per fare le sigarette (altre prigioniere avevano questo materiale). Sono stata portata nella cella n. 108. Dopo un giorno e due notti mi hanno portata in un altro container c’erano due uomini ed una soldatessa. Uno dei due uomini traduceva in italiano. Mi hanno chiesto se ero pronta a firmare quei fogli  e tornare in Italia e ho risposto “no”  e poi mi hanno detto “ci vediamo fra un mese”. Ho ricevuto visite dal Console Italiano a Givon che ha voluto chiedere ai carcerieri  di chiarire la mia posizione. Dopo tanta insistenza e un pò di dondolamento hanno risposto “detenzione amministrativa”. Due giorni dopo è arrivata la comunicazione che sarei stata deportata in poche ore. Sono stata portata, dapprima di nuovo a Ben Gurion, e poi con un’auto e due soldati israeliani, direttamente alla porta dell’aereo che mi ha portata a Fiumicino. Sono stata deportata per 10 anni (comunicato dagli israeliani a voce).

Premesso tutto quanto sopra esposto, Vi pongo alcune riflessioni/domande:

  • il 16 maggio un soldato mi ha sparato, ci sono le prove dell’accaduto. Vi risulta che si possa sparare a vista ad una donna italiana senza finire sotto indagini? Senza dover pagare per questo? Il colpevole è lì visibile nel filmato, quindi sapete chi è il terrorista che mi ha sparato. Chiedo delucidazioni.
  • l’11 giugno sono stata rapita in Palestina dai soldati israeliani che hanno attaccato il taxi. Ho subito torture psicologiche e sono stata nelle loro mani per una settimana. Va tutto bene? La Francia o la Germania, possono venire in Italia ed attaccare un taxi in corsa e rapire una cittadina? E’ così che funziona?
  • Ciò che mi veniva contestato era che non avevo il visto israeliano per restare in Palestina.... Scusate, ma perchè dovrei avere il visto di qualcun altro? Ma, soprattutto: perchè vi siete adoperati per farmi rilasciare, sì, ma per farmi deportare davanti ad un gruppo terroristico (israele) che mi impedisce di stare in Palestina e mi ha rapita?
  • israele può davvero impedirmi di andare in Palestina? La Francia piò impedire ad un cittadino tedesco di stare sul territorio italiano o di andare sul territorio italiano? E può farlo usando questi mezzi, quelli dei terroristi?
  • per il mio rilascio, il governo italiano, ha pagato un riscatto?

Poste queste doverose domande in nome dei diritti umani e della Giustizia, 

sono certa che Voi tutti vi impegnerete a far rispettare il mio diritto di ritornare in Palestina senza dover aspettare che il gruppo terrorista che mi ha rapita si sia dimenticato di me (10 anni). Io, intendo far valere il mio diritto di vivere in Palestina. Io, intendo essere libera. Diritto che va  difeso per tutti gli internazionali e per ogni essere vivente.

Chiedo con la medesima che si aprano indagini sui presunti colpevoli e che vengano perseguiti qualora si intravedesse reato e di essere avvisata.



Distinti saluti,
Samantha Comizzoli

lunedì 29 giugno 2015

COMPAGNO, DA SOLO




Un giorno mi trovavo al checkpoint di Qalandya per una manifestazione organizzata dai comitati....che ai primi gas sono spariti. Restiamo, come al solito, in pochi, i soliti 50 shebab a farsi sparare dai soldati israeliani. Ad un certo punto, in mezzo ai gas lacrimogeni, vedo una ragazza palestinese che si mette la kheffia ed avanza con il suo abito lungo fino ai piedi. Arriva davanti ai soldati, si ferma a pochi metri da loro, è da sola e gli tira una pietra. La pietra non fa che un paio di metri, ma lei era là davanti a loro, da sola.
E’ questo, per me, lo spirito. “io vado, se al mio fianco ci sono altre persone, bene, sennò vado lo stesso”.
Ieri ho partecipato ad un’assemblea in una piazzetta, c’era anche Lello Valitutti. Il mondo dell’attivismo italiano lo conosce, Lello, è quell’uomo sulla sedia a rotelle che sta in prima fila alle manifestazioni. Lello non ha paura, come quella ragazza davanti ai soldati da sola. Ma non è il non avere paura che ti porta lì davanti, è la consapevolezza di ciò che ti sta intorno, è il lottare per un tuo diritto che ti rende forte, è l’essere liberi in un mondo fatto di gabbie.
Sempre ieri, i media palestinesi hanno divulgato la notizia che Khader Adnan ha vinto. Al 56° giorno di sciopero della fame, israele gli avrebbe promesso di rilasciarlo il 12 luglio.
Non è la prima volta che Khader Adnan fa lo sciopero della fame, l’ultima volta fu supportato con altrettanti scioperi della fame da molti palestinesi. Questa volta no.
Quando iniziò questo sciopero, chiesi ai palestinesi, come mai (a parte la solidarietà di presidi e roba simile) Khader Adnan stava andando avanti da solo. Immaginate, non sto parlando solo dei movimenti di lotta o dei comitati per i prigionieri politici; ma, Adnan è il leader di un partito politico, la Jihad Islamica, neppure loro stavano facendo lo sciopero della fame. Era, nella sua protesta fatta per tutti, da solo.
Ok, ci sono stati altri leader di partiti palestinesi che hanno annunciato l’intenzione di supportarlo facendo lo sciopero della fame, ma intanto Adnan si è fatto 56 giorni di sciopero della fame da solo.
C’è un motivo.
L’anno scorso i prigionieri politici palestinesi fecero 62 giorni di sciopero della fame contro la detenzione amministrativa (stesso caso di Adnan). Si fermarono (alcuni di loro stavano morendo) quando israele gli promise la vittoria. Il giorno dopo, sparirono i tre coloni ad Al Kahlil (guardacaso) e poi  bombardarono Gaza.. e tutti dimenticarono i prigionieri.
israele non diede nulla di ciò che aveva promesso ai prigionieri politici e storicamente era la seconda volta che accadeva.
Quando Adnan iniziò questo sciopero della fame ebbe, di risposta da tutti, “picche”. Dagli altri prigionieri politici che non credono più alle promesse di israele e dai movimenti che non credono più a questo tipo di arma per ottenere qualcosa perchè non ha funzionato in precedenza.
Io ad israele non ci credo, non credo alle promesse dei nazisti e storicamente si conferma.
Ma per me, Khader Adnan ha vinto. Ha vinto perchè da solo ha tirato una pietra che non ha fatto più di due metri contro a chi spara ed uccide. Ha vinto perchè non si è seduto ad “aspettare gli altri”, ma è semplicemente andato contro al mostro. 
Kahder Adnan ha vinto perchè è libero da qualsiasi mostro di repressione/controllo. Quella ragazza al checkpoint ha vinto, Lello Valitutti ha vinto. 
Non puoi sparare e non puoi uccidere la libertà, sarebbe come sparare all’aria, incontrollabile, a vuoto.

Intervista di Radio Cane a Lello Valitutti: http://www.radiocane.info/insuscettibile-di-ravvedimento-una-conversazione-con-pasquale-valitutti/

lunedì 22 giugno 2015

PRIGIONE IN PILLOLE




  • tutto è bianco ed azzurro, i colori del terrorista israele. Nemmeno l’area aperta, è aperta. Sulle nostre teste un tetto fatto di sbarre, che ci fanno intravedere il cielo e il sole. C’è un gruppo di piccioni che entrano ed escono da alcuni buchi della gabbia/tetto. Io cammino avanti ed indietro tutte le sere ed ogni volta che cammino un piccione spicca il volo basso che quasi facciamo un frontale. Dico alle donne “vedete? Quello è un idiota, ma è libero.”
  • e’ mattina e sto fumando nell’uscita mattutina, seduta per terra nella gabbia/giardino. Alzo gli occhi per vedere il cielo e vedo, invece, un soldato israeliano che cammina sul tetto/gabbia controllando non si capisce bene cosa. Inizio a ridere... una guardia davanti a me mi guarda e non capisce, così divento esplicita: “che cazzo sta facendo il tuo collega là sopra? Controlla se Hamas c’ha appoggiato un razzo?”. “Stai zitta o ti sbatto in isolamento”.
  • le porte delle celle sono di ferro, pesanti e spesse, di colore azzurro. Queste porte vengono sbattute con tutta la forza possibile, ogni volta che entrano per fare un’ispezione. E’ un suono che ti rimbomba nello stomaco e ti rimane in testa per sempre.
  • Fanno le ispezioni 4 volte al giorno, delle quali una di notte. Avvisano urlando nel corridoio. Quindi, tu sai, che quando apriranno la porta della tua cella devi alzarti in piedi e stare ferma davanti alla tua brandina. Uno di loro entra con un bastone di legno, di 8 cm circa di diametro e lungo 2 mt. Attraversa la stanza e picchia il bastone sulla parete opposta. Poi esce con gli altri che spuntano su un foglio il numero della camera.
  • sia che sei musulmano, cristiano od ebreo, nella prigione di Givon non c’è un luogo per pregare. Amen.
  • la prima cena a Givon arrivo alla distribuzione con il mio vassoio di plastica e il mio cucchiaio (forchette e coltelli non ci sono). Chi serve il cibo lo serve con le mani, senza posateria. Guardo... “che cazzo è quella roba?” “spaghetti italiani”... “no scusa, io sono italiana, a me su sta roba per il culo non mi prendi. dammene solo una manciata. Grazie”
  • mi hanno tolto l’unico libro che avevo “Jose Saramago, il vangelo secondo Gesù Cristo”. Mi hanno tolto il tabacco e la macchinetta per le sigarette perchè dicevano che potevo metterci denro della droga. Il giorno dop entrano altre due donne, una è ebrea-filippina e l’altra anch’essa filippina. Entrambe hanno tabacco e macchinetta. Allora chiedo alle altre...perchè a me l’hanno tolto e mi rispondono “perchè tu dici di venire dalla Palestina”. Un’altra donna mi dice “ a me hanno tolto le foto dei miei figli”.
  • il primo giorno che sono a Givon si è aperto con una che si è sentita male, è svenuta mentre fumavamo perchè l’avevano appena presa, il figlio per non farsi prendere era saltato giù dal terzo piano e lei non ne aveva notizie. Passano i minuti e non arriva nessun medico, ci siamo solo noi lì attorno a bagnarle il viso con l’acqua. Così alzando la voce alla guardia le dico “dove cazzo è il dottore? Se era un’infarto era già morta” guardia.. “ sei una manager? No, e allora taci”. Mia risposta “sono una persona, come lo è qusta qua che sta male” e allontanandomi a bassa voce “nazista del cazzo”.Cosa sono le manager? Le manager sono prigioniere che controllano tutto in prigione e lavorano per i carcerieri.
  • Un giorno una filippina che sorrideva sempre ha raggiunto la libertà, o almeno così pensava. Era a Tel Aviv e lavorava con permesso scaduto. Il suo padrone, israeliano, l’ha fatta lavorare come una schiava per 10 anni ed ora era arrivato il momento di pagarla. Gli aveva pagato solo gli ultimi due anni di lavoro. Quel gorno quando uscì, andò con l’avvocato in tribunale per riavere i soldi degli altri 8 anni. Non le pagarono un cazzo, lei pagò l’avvocato con gli unici soldi che aveva ricevuto (quei due anni di lavoro) e fu spedita nelle Filippine con un volo un’ora dopo. 10 anni della sua vita nel cesso.
  • guardavamo la tv, alla sera, specialmente canali esteri dei quali non capivamo la lingua, ci ridavamo su e commentavamo le immagini. La mia compagna di cella si era accorta che volevo sentire le notizie (non gliel’ho mai chiesto). Una sera ad un telegiornale sionista fanno vedere un pezzo di video di soldati israeliani che attaccano un uomo, a Jalazoune (Ramallah). Riconosco vicino a loro il fotografo Jihad Qade. Mi scendono le lacrime nel vedere da quel luogo, quella situazione nella quale mi sono trovata tante volte. Vederla da spettatrice, vedere persone che conosco. E non esserci perchè in prigione.
  • i letti sono a castello. Tavole di ferro con un materassino di 3 cm. Già dopo la prima notte sono tutta rotta, ho male dappertutto, mi fa male il seno dove mi hanno sparato. Io dormo sotto e, così com’era stato alla prigione di Ben Gurion, leggo le scritte sul letto sovrastante lasciate da chi c’era prima di me: “sono moldava...data...nome” “sono etiope...voglio la libertà”. 
  • le pareti delle prigioni sono muri orrendi, cercavo di leggere tutte quelle scritte... a Ben Gurion: “fanculo israele, Palestina libera” “ho bisogno di vedere il sole”. A Givon: “dicono che questa è la terra santa, ma qui israele sta facendo l’olocausto”.
  • mi hanno portato all’aereo dell’El Al come una crminale, direttamente all’entrata dell’aereo con la macchina blindata della polizia israeiana. Quando sono salita, erano tutti israeliani, è iniziata una protesta perchè alcuni passeggeri non mi volevano. Ho il posto vicino ad una giovane coppia israeliana. Quando mi avvicino per sedermi, lei dice a lui.. “oh no, è vicino a noi..”. Un’ora dopo la giovane israeliana deve passare per andare al bagno e non ha il coraggio di chiedermelo, me lo chiede il suo compagna. Sono minuti pesantissimi da far passare. I passeggeri che camminano nel corridoio mi guardano in faccia come se fossi un mostro, come se fossi io il mostro. 
  • Arrivo a Fiumicino e ad attendermi sulla porta dell’aereo c’è la polizia italiana che mi dice “ ben arrivata, deve venire con noi”. Dovevano fare solo un report per la Farnesina che ero arrivata. Un poliziotto mi accompagna a prendere la valigia, ma guardacaso è sparita. La ritroverà mezz’ora dopo, non so dove. Mi porta a fare dogana della valigia, ma la dogana a quell’ora è chiusa. Siamo al terminal 3, sono tutti con le mascherine e nell’aria c’è un’odore irrespirabile. Il poliziotto telefona per far venire qualcuno all dogana per me. Alle mie spalle escono fiumi di persone senza far controllo bagagli. Questo poliziotto chiede ad un altro poliziotto che c’è lì “ma tutti questi escono senza controllo della dogana a quest’ora? e l’altro “sì, infatti a quest’ora passano fiumi de coca....”. A me, devono fare la dogana, a me che esco da una prigione dove sono in quella giornata ho già fatto 5 controlli.......
  • fuori ad attendermi ci sono i miei amici che sono stati alcuni identificati, altri interrogati. La rivincita: quei passeggeri israeliani alla loro uscita hanno trovato i miei amici con i manifesti rossi della mia faccia “FREE PALESTINE”.

CHI C’E’ NELLA CELLA N. 110?




Prigione di Givon, Tel Aviv. Tutto è bianco e azzurro, i colori del terrorista israele. Sono nel braccio femminile immigrazione. C’è un gruppo di filippine, uno dalla Russia, una cinese, qualche donna dall’Africa. Io sono nella cella n. 108 con due donne della Costa D’avorio. Sono stata messa lì per punizione, perchè con le due ivoriane nessuna vuole stare. Quando entro, da subito, non sono benvenuta. Non ci diciamo i nomi e una delle due inizia a darmi ordini più delle guardie. L’altra è una mezza santona che prega in modo animato giorno e notte. Io venivo da 3 giorni di isolamento in sciopero della fame a Ben Gurion. Ne avevo per il cazzo di farmi stancare da caratteri difficili, volevo amarle, perchè eravamo in prigione assieme. Non uscivano dalla cella nemmeno quando c’era la porta aperta. Ho iniziato a parlare con loro. Erano in quella cella da due anni e sei mesi perchè aspettavano lì di diventare rifugiati politici. Dovevano resistere per 5 anni. I figli fuori, che le aspettano. Ho detto loro che potevano camminarmi sulla testa per il rispetto che gli portavo. Pur non condividendo il posto che avevano scelto, israele, la loro era Resistenza. Quella cella era diventata la loro casa, tutto quello che avevano e la difendevano. Siamo diventate amiche. La mia ultima sera, quella più giovane ha cantato e ballato per farmi sorridere. L’altra mi ha detto il suo nome e ci sono rimasta di merda: “mi chiamo A Cuba Filastin”. Non mi dimenticherò mai di loro e spero un giorno di incontrarle in qualche posto nel mondo, fuori dalla prigione; non posso dire “da libere”, perchè per me lo erano già. 
Uscendo dalla prigione, il mio pensiero è andato a qualcuno in sospeso nello spazio/tempo.
Mi sono accorta che la cella 110 ha sempre la porta chiusa. Lasciano il vassoio del cibo nella feritoia.... quindi c’è qualcuno lì dentro. Inizio a fare domande e mi dicono che c’è dentro una donna da anni. Quando è arrivata non aveva documenti, non ha voluto rispondere alle domande, parla più lingue. Insomma, non sono riusciti a capire chi è e da dove viene. Un giorno ha urlato ad una guardia ed è stata sbattuta in quella gabbia dove hanno messo anche me. L’hanno lasciata lì per due giorni. Quando è uscita dalla gabbia, era impazzita. Nessuno le si poteva avvicinare, urlava a tutte. La mia compagna di cella è lì da due anni e sei mesi e mi dice che quando è arrivata a Givon, quell donna nella 110 era già lì. Da anni nessuno le parla, nessuno la chiama per nome, non esce dalla cella. Mi hanno detto che resterà lì per il resto della sua vita perchè non saprebbero dove rimandarla. Ci pensate? Quella non è una criminale, era senza documenti e non ha voluto rispondere ai nazisti, ok. Ma passerà tutta la sua vita in isolamento. E’ un essere umano, cristo! I nazisti sono così, non considerano essere viventi gli altri, non pensano a mandarla in un luogo dove possano curarla. Io, quest’articolo, lo scrivo per lei. Per far sì che esista. Che il mondo sappia che nella cella n. 110 della prigione di Givon, braccio femminile dell’immigrazione, c’è una donna non molto alta, con i capelli ricci e oramai grigi. Quel grigio non solo dall’età, ma della prigione.
Qualcuno faccia rivedere il sole a quella donna. Qualcuno le dica “ciao”.

domenica 21 giugno 2015

NON E' STATA UNA COINCIDENZA

Prima di scrivere un primo articolo-testimonianza sulle prigioni, devo scrivere questo post, perchè so che in molti si stanno facendo domande e stanno cercando di capire se è stato un caso o se l'imboscata fosse organizzata. E nella seconda ipotesi, da chi. Inoltre, renderlo pubblico, è una piccola assicurazione sulla vita che mi faccio, quindi vi chiedo di divulgarlo il più possibile:
il giorno prima del mio rapimento, ero nel villaggio di Assira Al Qabilja, ed è successo quello che avete letto tramite post di altri perchè al mio rientro avevo scoperto di avere il profilo facebook bloccato. Facebook mi diceva che il mio profilo era stato bloccato per 48 ore per l'ultima foto che avevo pubblicato (la foto del viso di un martire) e che la foto era stata rimossa. L'ho trovato strano perchè non c'era nessun avviso di segnalazione della foto e soprattutto perchè di foto ne ho pubblicate una marea, davvero forti, ma non sono mai state rimosse. Il giorno successivo sono stata rapita, mentre ero su una strada, in quel modo. Ho mandato il tweet, ma non si è pubblicato su facebook perchè il mio account era, appunto, bloccato. Quello che era successo il giorno prima al villaggio, era davvero anomalo e l'attacco al taxi, lo è stato altrettanto. Ieri sera, per puro caso, faccio scorrere le foto della mia pagina facebook per trovarne una e mi accorgo che quella foto non è stata rimossa. Quel giorno, dopo i soldati, ad arrivare al taxi prima della polizia, sono stati gli shabak (servizi segreti israeliani). Ridevano e mi hanno fotografata con l'i phone.... Credo mi abbiano bloccato il profilo facebook, ascoltato al cellulare dove stavo andando e preso tramite i soldati. Credo, altresì, che volessero farlo il giorno prima nel villaggio di Assira, ma c'erano troppe persone, sarebbe stato troppo clamoroso e forse con immagini del momento, o forse qualcosa gli è andato storto per altri motivi. Il resto, sono stati errori personali, nati dalla stanchezza, ma anche senza quegli errori non credo sarebbe cambiato molto. In prigione mi hanno ridato il cellulare che funzionava in modalità roaming. Quando mi hanno comunicato il rientro, due secondi dopo, mi hanno chiuso la possibilità di chiamare l'Italia, potevo chiamare solo numeri palestinesi. Sul "perchè" lo abbiano fatto proprio in questo momento e se avevano anche dei collaboratori, a questo, per il momento, non so rispondere. Tanto dovevo, ma soprattutto, come ho detto al Console in prigione e davanti a loro: "un anno e 4 mesi senza il loro permesso. Ho vinto io".

sabato 20 giugno 2015

VIDEO DEL MIO RAPIMENTO E PRIGIONIA

TG Maddalena:



Trascrizione:

http://www.tgmaddalena.it/intervista-samantha-comizzoli-sequestrata-ed-espulsa-da-israele/

BUONGIORNO

"ti ricordiamo che non sei in stato d'arresto" queste sono le parole che mi hanno ripetuto i soldati israeliani da quando mi hanno presa al momento del rilascio. Davanti all'insistenza del Console italiano in Tel Aviv di chiarire, pertanto, la mia posizione di prigioniera (poichè se non sono arrestata sono ovviamente rapita), i soldati (barcollando) hanno risposto: "detenzione amministrativa, nessun reato". 
Riprendo così, con questa frase nocciolo, la mia presenza on line. Non posso dire di essere "tornata" perchè psicologicamente non lo sono. Non parlo, al momento, con la stampa e uscirà fra poco un comunicato video redatto dall'unica giornalista presente a Fiumicino al mio arrivo: Simonetta Zandiri con i particolari di quello che è successo. Curerà lei la redazione stampa per diversi motivi.
Ora.... ho cancellato dalla mia pagina pubblica tutti i commenti sionisti/fascisti/razzisti, dire "grazie" a tutti voi che mi avete supportato e mandato questa quantità incredibile di solidarietà, sarebbe troppo poco. Quindi ricambierò la vostra solidarietà con la mia, continuando a lavorare per la difesa dei diritti umani. Sono dispiaciuta, ma al momento devo risolvere conseguenze psicologiche per ciò che mi hanno fatto ed è successo, quindi non risponderò a tutti.
A presto con il mio primo articolo dopo il RAPIMENTO: "chi c'è nella cella n. 110".

giovedì 11 giugno 2015

OGGI: UNA STORIA ORRENDA



Questa è una storia orrenda che ho vissuto oggi. Ne sono testimone e in parte partecipe. Vi prego di leggerla, farla leggere e divulgarla perchè non ci sono giornalisti che la conoscono, ma va assolutamente fatta conoscere.
Avevo appuntamento con una mia amica a casa sua, nel villaggio di Assira Al Qabilia, Nablus. Volevamo parlare di un piccolo progetto per i bambini che forse inizierò presto, il tutto bevendo un caffè. Con me è venuto un ragazzo italiano che è qui in vacanza. Siccome questo ragazzo non parla né inglese né arabo, ha colto l'occasione per farsi una passeggiata nel villaggio mentre noi parlavamo.
Ha iniziato a camminare su, verso la collina, in mezzo alle case del villaggio, e un paio di bambini che l'hanno visto hanno iniziato ad avvicinarsi per fargli compagnia. Nessun dialogo ovviamente, se non a gesti. Si è fermato quando finiva il villaggio di Assira e ha scattato 3 foto alla cima della collina (dal quale era ancora molto distante), dove c'è l'insediamento illegale di Yhitzar.
E' tornato, io avevo finito, abbiamo preso il service e siamo tornati a Nablus.
Quando siamo arrivati al checkpoint di Howwara abbiamo visto molti soldati con le jeep, pronti ad entrare in azione (e ho mandato un tweet). Scesi dal service ricevo una telefonata della mia amica, agitata, che mi dice di tornare subito indietro perchè ci sono lì i soldati israeliani e vogliono il ragazzo italiano che ha scattato le foto.
Prendiamo un taxi per far prima e torniamo indietro al villaggio di Assira Al Qabilja. Nel frattempo davanti alla casa erano arrivate molte donne del villaggio.
La mia amica ci ha fatti tornare di corsa perchè: i soldati israeliani erano piombati nel villaggio con 10 jeeps e avevano preso uno dei due bambini che aveva tentato un dialogo con il ragazzo italiano e volevano anche l'altro bambino se il ragazzo italiano non si fosse consegnato ai soldati.
Il bambino che avevano preso ha 15 anni.
Ovviamente c'è i panico e mi sembra tutto molto strano, visto che su quella strada a fare le foto ci si è stati decine di volte, anche a filmare (le immagini sono anche nel mio primo film “shoot”).
Arrivano il padre del bambino ed un altro palestinese di ritorno dall'insediamento di Yhitzar, dove i soldati tengono il bambino. Fanno le domande al ragazzo italiano e gli spieghiamo che è un turista e che ha fatto 3 foto, ma soprattutto che non parla arabo né inglese. Ritornano a parlare con i soldati e portano il numero di telefono del ragazzo a modi “se lo volete contattatelo voi”.
Inizia l'attesa....passano due ore fra sigarette e caffè. Poi, arriva la comunicazione che il bambino è stato rilasciato.
Il problema non sono quelle 3 foto del cazzo che ha fatto l'italiano. Il problema è che qui un bambino di 15 anni non è nemmeno libero di camminare su una strada perchè deve sempre temere di essere rapito dai soldati israeliani. Il ragazzo italiano è capitato, secondo logica, in mezzo a qualcosa che volevano già fare oggi (le jeeps e i soldati erano pronti ad Howwara). Così, per buttare anche un po' di merda sulla presenza degli internazionali e su chi stringe contatti con loro, hanno pensato bene di inscenare questa storia. Se non fosse così, pensateci bene, non sarebbero almeno venuti a prendersi la macchina fotografica o a chiedere di cancellare le foto?
Anche questa storia, raccontatela ai vostri figli e ditegli che i mostri esistono.


giovedì 4 giugno 2015

ALTRI PALESTINESI RAPITI

 Durante la notte 200 soldati israeliani hanno attaccato due case a Kafr Qalil, Nablus. Come potete vedere dalle foto, hanno distrutto i loro interni. All'interno della prima casa c'è una donna incinta, bambini ed adulti che dormivano. Era mezzanotte quando sono arrivati e hanno forzato la porta d'ingresso per entrare. Hanno anche fatto un buco in un muro per vedere l'altra parte della casa in costruzione....Sono andati via alle 6,00 del mattino portandosi via un compagno delFronte Popolare per la liberazione della Palestina. Stessa procedura nella seconda casa ed anche qui hanno portato via un compagno. I due sono cugini della famiglia Amer. Alle ore 15,30 la famiglia non aveva ancora ricevuto notizie sui due rapiti. Stessa cosa nel villaggio di Salem, Nablus: attaccata una casa, distrutto gli arredamenti e rapito un compagno del PFLP. Le foto si riferiscono alle due case di Kafr Qalil.





mercoledì 3 giugno 2015

VERGOGNATEVI



Il 16 maggio 2015, ad una manifestazione in ricordo della Nakba presso il checkpoint di Howwara, Nablus; un cecchino israeliano mi ha sparato due rubber bullet in direzione cuore (una al braccio e l'altra al seno) e ha sparato una rubber bullet nella maschera antigas, che si è rotta, al fotoreporter Nidal Shetey, ferendolo all'occhio sinistro. (qui trovate articolo, foto e video del momento dello sparo). http://www.samanthacomizzoli.blogspot.com/2015/05/la-nakba-continua.html https://www.youtube.com/watch?v=IhYWERtvjAY
Dopo 3 settimane Nidal non vede ancora dall'occhio sinistro e non può aprirlo. Ieri aveva appuntamento in un ospedale specializzato per gli occhi a Gerusalemme.
GLI E' STATO RIFUTATO L'INGRESSO A GERUSALEMME DA ISRAELE.

Ora, però, siccome in due giorni e con quest'ultima notizia mi è salita particolarmente la carogna ed, altresì, dopo aver raccontato le storie di Maher ( http://www.samanthacomizzoli.blogspot.com/2015/05/la-storia-di-maher.html ) e di Zahi ( http://www.samanthacomizzoli.blogspot.com/2015/05/prigionieri-politici-palestinesi-zahi.html ) vedo gente che cade giù dal pero quando scrivo che le organizzazione umanitarie non fanno una cazzo; rincaro la dose di motivazioni.
Quando sono stata ferita, sono stata “intervistata” presso l'ospedale di Nablus, 3 volte dall'autorità palestinese. Il giorno successivo sono stata “intervistata” dalla Croce Rossa internazionale che (così mi disse) avrebbero stilato un report per ciò che era successo a me e a Nidal.
Pertanto..governo italiano ed autorità competenti sono a conoscenza di ciò che è accaduto.
Ma, mi sono stupita del tipo di domande che la Croce Rossa mi ha fatto …:
  • “hai visto gli shebab tirare pietre?”
  • “hai visto pistole o fucili?”
La risposta alla seconda domanda è stata ovvia “sì, il fucile ce l'aveva quello che mi ha sparato, il cecchino israeliano”.

Altresì, ho inviato alla Croce Rossa le due foto che allego qui sotto delle mie ferite, ma non ho ricevuto a seguito alcuna richiesta di altri referti medici o aggiornamenti nonostante io abbia fatto anche una mammografia.
Ritorno su Nidal, Maher e Zahi... guardate che i primi a dover intervenire in questi casi, sono proprio la Croce Rossa che qui lavora da intermediario.
Gurdate, altresì, che queste 3 storie che io vi ho raccontato, sono solo 3 storie di 3 persone che conosco. Sapete quanti palestinesi sono in queste condizioni? Quasi tutti.... e non da oggi, da sempre.

Le organizzazioni umanitarie e la Croce Rossa la conoscono la situazione dei palestinesi? No? E allora qui, esattamente, che cosa fanno?
Di seguito le due foto che ho inviato alla Croce Rossa e che ha consegnato alle autorità israeliane.