mercoledì 28 giugno 2017

“ COMPAGNI”: NON TOCCATE ISRAELE!



Ma, insomma, da che parte mi giro è vietato parlare d'israele o perlomeno....dire che sta compiendo un genocidio, che tutti i coloni sono soldati assassini e che ci sono i complici.
Da quando ho fatto la conferenza a Bologna iniziando a spiegare che il sionismo non è un problema legato alla Palestina, ma che ci riguarda qui, in ogni casa... Boohmmm : “anarchici andate contro a tutto, ma non contro israele”.
Ho proiettato il film “israele, IL CANCRO” vicino a Biella nella sede dell'ANPI e....boohhm! Oggi, i compagni sono stati processati dalla “commissione di garanzia” dell'Anpi a Roma che riferirà al comitato nazionale....
Oh?!? Tutti i rivoluzionari in Italia sono servi di israele?
Ma poi.. cos'è sta roba della “commissione di garanzia” e “comitato nazionale”? Ma stiamo a casa merda pound????
Carlo Smuraglia non mi ha nemmeno risposto quando ho scritto per esigere delle scuse per l'accusa di film antisemita. (Sala piena, film visto da tutti i presenti in sala e nelle altre sale; che hanno visto cadere al 100% l'accusa di film antisemita.)
Lo scrivo ora: non siete più credibili per alcuna lotta.
Siete i lupi vestiti da agnelli.
Chi crede nell'antifascismo dovrebbe bruciare in una pubblica piazza le tessere dell'Anpi nazionale indicando questi mercenari come “impostori fascisti” e dovrebbe, altresì, portare avanti la Resistenza.

Ai compagni anarchici, invece..: non potete far finta di nulla davanti a questo che allego all'articolo, non potete far finta di nulla davanti ai complici che “vivono sul business dell'occupazione israeliana”, non potete far finta di nulla davanti alle ONG che alimentano solo ghetti e bandiere. Puntate il dito (in culo sarebbe meglio) contro i colpevoli, contro ad israele.


p.s.: le voci dei coloni israeliani nel video dicono “muori figlio di puttana”. Ahmed ha 13 anni, palestinese.


sabato 24 giugno 2017

PALESTINA: IL GOLAN






Come ho scritto più volte, la Palestina va dall'Egitto alla Siria. C'è un'area, che sarebbe palestinese, della quale pochissimi parlano: il Golan.
Parte del Golan è sotto controllo israeliano dal 1967, oltre a quel confine c'è la Siria. Mi dicono che ogni giorno da quel confine siriano stanno arrivando autobus pieni di siriani. Gli autobus sono israeliani. E' una mossa di israele che “offre” come il pifferaio magico, la possibilità ai profughi di “diventare israeliani” e lasciare quella parte di Golan.
E' un film già visto proprio in quella zona di Golan che è la Palestina.
Una persona a me molto cara c'è appena passata e mi ha “regalato” le foto che vedete e la loro storia.... Di alcune di queste foto non dirò dove sono state fatte; il motivo lo capirete da voi.
In quella foto c'era l'ultimo avamposto dell'esercito siriano di Assad (padre) quando lo stesso stava “negoziando” il Golan con israele. I negoziati fallirono (questa è la versione ufficiale). Gli abitanti del posto, invece, sostengono che Assad abbia venduto quell'area del Golan ad israele nonostante proprio in quel periodo la politica di Assad si fosse discostata dagli altri negoziati con israele che stava tenendo Arafat.
E qui arriviamo alle foto... : Assad diede ordine ai combattenti di lasciare la zona, ma un piccolo gruppo non lo ascoltò e rimase nascosto a difendere la zona. Ci fu lo scontro con gli israeliani.
I combattenti siriani furono tutti uccisi e ci furono delle perdite anche fra gli israeliani.
Ora...: la prima foto è del monumento alla memoria degli israeliani per i soldati israeliani morti in quello scontro (notare lo stile europeo del monumento).
Le altre foto, invece, che non sono in quella zona, ma un po' più distanti... Sono di un luogo conosciuto solo dagli abitanti palestinesi e siriani. Ci si arriva tramite tunnel nascosti nel terreno (nella prima foto si vede l'inizio di uno dei tunnel). Si sbuca in un struttura bassa, in pietra e cemento.. Lì, i combattenti siriani e palestinesi si erano nascosti aspettando l'arrivo degli israeliani. E, avendo passato molto tempo là dentro, hanno scritto i loro nomi sul soffitto di quel nascondiglio.
Per gli abitanti della zona è “il nostro monumento, per i nostri combattenti”.

Pensate.. non una colata di cemento fatta da altri in memoria, ma le firme delle vittime, di chi ha dato la vita.



domenica 18 giugno 2017

IL RAPIMENTO, LA PRIGIONIA E LA DEPORTAZIONE DUE ANNI DOPO



Ve la racconto oggi, due anni dopo, con tutto quello che non ho detto perchè al momento il mio cervello si rifiutava di elaborare e con ciò che ne consegue oggi.
Giugno 2015, Nablus, il cerchio attorno a me si è ristretto di parecchio e lo sento. Quelli dell'Autorità Nazionale Palestinese ce li ho addosso e non riesco più a scrollarmeli, nonostante gli interventi dei palestinesi con i quali lotto. Ho capito che non potevano fare più nulla e che sarei stata “data” in qualche modo agli israeliani. Pensavo venissero a prendermi a casa, ma credo che semplicemente una delle “famiglie” di Nablus (o forse più d'una) non gliel'abbia permesso. Avevo già fatto pulizia nell'armadio, donando i vestiti e le cose che non usavo più. Dormivo vestita e con lo spay al peperoncino sul comodino, pensando “vaffanculo, quando arrivo, io ci provo a difendermi”.
Il 10 giugno viene chiuso per la prima volta il mio profilo facebook per la foto del viso di un martire palestinese. Strano, avevo pubblicato di tutto per due anni...per la foto di un viso, mi chiudono l'account per 3 giorni.
E' l'11 giugno, venerdì. Da tempo non partecipavo alle “manifestazioni organizzate del venerdì”; ma quel giorno...avevo organizzato di andarci per accompagnare un attivista italiano (stile pacifinto) che un'ora prima dall'appuntamento, decide di partire e lasciare Nablus. Avevo organizzato l'appuntamento nella piazza di Nablus e non mi andava di mandare all'aria con i palestinesi; non era carino.
Così vado io all'appuntamento con quel palestinese e prendiamo il taxi che ci deve portare a Kuffr Qaddum. Faccio richiesta se sulla strada che stava prendendo c'erano i soldati, ma il palestinese mi dice che non ci sono. Strano (n.2) su quella strada c'erano sempre...
E infatti c'erano....
Faccio fermare il taxi al distributore di benzina e gli dico di tornare indietro a Nablus. Nel frattempo il palestinese chiama il contatto al villaggio di destinazione, parlano in arabo ovviamente e non so cosa esattamente abbia risposto il contatto, so solo che il taxi non si muove da lì.
Alcuni minuti dopo vediamo la jeep dei soldati israeliani andarsene e il nostro taxi decide di riprendere la strada....a tutta birra... Non ho fatto in tempo a parlare... avevamo già la jeep dei soldati che correva al nostro fianco. La jeep si posiziona davanti al taxi, sempre in corsa, ed inizia a rallentare. Prima di fermarsi, si sono aperte le porte del retro e sono scesi i soldati con i loro M16 in mano. Hanno circondato il taxi. Due di loro aprono le porte del retro, dove sono seduta io, e mi puntano i fucili.
Era andata. Era la Fine.
Chiedono a tutti e tre i documenti, io mi rifiuto di darglieli. Passano i minuti...riesco a mandare quel tweet “mi hanno presa” e poi nascondo la simcard nell'auto (avevo ancora la speranza di poter non essere presa).
Mi chiedono la borsa, la prendono e dentro trovano il passaporto. Chiedo di chiamare il Consolato italiano, ma mi rispondono “tu, non chiami nessuno” e la frase che mi ripeteranno fino al mio arrivo in Italia: “non sei in arresto, ma devi venire con noi”. Arriva la border police, arrivano gli shabak che mi fotografano con l'I-phone. Trovano una maschera antigas nel portabagli e il palestinese dice che è la sua, ma loro la infilano dentro la mia borsa.
Nel frattempo, la mia testa è un vespaio..: pensavo alla mia casa, ai miei cazzo di mobili, ai miei amici, al suono della moschea che non avrei più sentito dal mio balcone, a tutto che finiva.
Sono passate ore, al caldo, senz'acqua.... Alzo lo sguardo oltre ai mostri che mi puntavano i fucili e vedo gli ulivi.. ho pensato che non avrei fatto la raccolta delle olive, ad ottobre. Esco dl taxi e vado vicino ad un ulivo, prendo due olive, le stringo in mano, le annuso, sorrido e mi scende una lacrima.
Uno dei soldati mi guarda...allora si avvicina all'ulivo e strappa un ramo, lo guarda e lo lancia in mezzo alla strada dove passano le auto. Lui, quel gesto, il potere..
Il tassista inizia a lamentarsi che non ce la fa più, erano passate 5 ore da quando ci avevano fermati.
Ci fanno scendere dal taxi ed iniziano a perquisire l'auto. Trovano una bandiera di Fatah sotto al sedile anteriore e il palestinese mi dice “Samantha, digli che è la tua”. No, cazzo, essere presa con una bandiera di Fatah proprio no. E sembra che lo sappiano che non è la mia, perchè sparisce subito nella tasca dei pantaloni di un soldato. Poi, passano al sedile del retro e trovano la simcard.... A trovare la simcard, sono stati gli shabak che hanno fischiato dalla gioia.
Arriva l'ordine, mandano via il taxi con il tassista ed il palestinese.. e lì ho l'impeto: stringo la mano al palestinese e gli dico “congratulazioni, salutami tutti”.
I soldati rimangono in due con la border police. Mi fanno sedere al ciglio della strada, uno di loro è in piedi a fianco a me e mi punta il fucile. L'altro soldato sale nella jeep della border police e parlano.
In quel momento mi sono resa conto che non c'era nessuno che mi vedeva. Mi sono alzata in piedi e ho detto al soldato “smettila di puntarmi sto cazzo di fucile”. Lui, ridendo mi risponde “ah, ti da fastidio? Ma è a salve...”. Ho atteso in piedi fino a quando mi hanno fatto salire sul retro della jeep. Hanno fatto ripetere al soldato l'ennesima volta, in inglese “ti ricordiamo che non sei in arresto, ma devo venire con noi”.
Mi hanno portato all'insediamento illegale israeliano di Ariel. Nella centrale della polizia c'erano 3 ragazzi palestinesi con le catene ai piedi. Aspettavano...
Avevano cercato di entrare nei territori del '48 per lavorare, li avevano beccati. Portano dei sandwich confezionati (israeliani ovviamente). Lo rifiuto dicendogli che non voglio nulla di israeliano.
Poi arriva il mio turno.... Mi portano in una stanza e ci sono due uomini (nessuna divisa o tesserino), presumo che siano shabak. Mi chiedono: “A noi risulta che è da un anno e 4 mesi che non esci da israele (PALESTINA), lo confermi?”. Gli rispondo che non confermo nulla, che non rispondo ad alcuna domanda, che devo chiamare il Consolato ed il mio avvocato e che entro in sciopero della fame non per me, ma per chiedere la liberazione dei 350 bambini palestinesi che erano nelle loro prigioni”.
Mi propongono di firmare un foglio dove c'era dichiarato “io dichiaro di essere in territorio israeliano in modo illegale, accetto di rientrare in Italia entro 72 ore e di non tornare mai più in israele”. Mi rifiuto di firmare e loro mi rispondono “ok, allora vai in prigione”.
Mi fanno le foto segnaletiche, poi mi dicono che devono prendermi le impronte..mi rifiuto di dargli la mano che loro si prendono con la forza. Poi uno di loro mi prende con una mano al collo e l'altra per i capelli tirandomi la testa un po' indietro (non avevo capito che cosa volessero fare).. l'altro mi infila un bastoncino in bocca (che nel frattempo avevo spalancato per lo spavento) e mi dice “ti prendiamo il dna”.
Sapevano che non potevano contestarmi nemmeno il mancato rinnovo del visto, perchè avevano attaccato il taxi vicino a Nablus.... io non sono mai uscita da lì. Per un anno e 4 mesi, non sono mai passata oltre il muro.
Mi portarono quando oramai era notte, in prigione, dicendomi che eravamo nel deserto del Nakab. il tragitto, uno dei soldati ricevette una telefonata dove parlò in inglese di me... Quando chiuse la comunicazione mi disse “era il tuo Consolato, di Gerusalemme”. Erano le 11,00 del mattino quando avevano fermato il taxi. Sono arrivata alla prigione di Ben Gurion alle 23,30 (che non è nel deserto del Nakab).
Ad “attendermi” c'erano 3 soldatesse e due soldati della border police. Iniziarono di nuovo l'interrogatorio. Oramai non c'erano più speranze e così gli cagai la rabbia a parole “questo è un rapimento, questa è la Palestina, voi siete dei nazisti di merda che state compiendo un genocidio. Mi ritengo un prigioniero politico, entro in sciopero della fame per chiedere la liberazione dei 350 bambini palestinesi che avete rapito”. Si incazzarono ovviamente. Mi fecero chiamare il Consolato e poi mi buttarono in cella d'isolamento.
Le celle sono tutte bianche, con le porte azzurre. Tutto, nelle prigioni israeliane, è dei colori d'israele. Hai le bandiere basse, che quando cammini per i corridoi ci sbatti la faccia sopra. Io gli sputavo, sempre.
La cella era grande, con letti a castello. I letti sono in ferro, ti spacchi tutta a dormire lì sopra. Però, quella notte, dopo un po' mi sono addormentata.... Mentre dormivo sono venuti a svegliarmi e mi hanno detto “ti sei dimenticata di firmare questo foglio..”. Era di nuovo il foglio che mi avevano proposto prima. Mezza addormentata, gli ho ripetuto che non mi ero dimenticata, ma che non lo volevo firmare.
Allora hanno lasciato la luce accesa (ci resterà per 4 giorni) ed acceso l'aria condizionata a palla. (anche quella resterà così per 4 giorni). Gelavo, giugno, a Tel Aviv.
Dalla mattina successiva iniziarono a venirmi a prendere per il mio momento d'aria. Che non posso chiamare “ora d'aria”, perchè si trattava di soli 10 minuti al mattino e 10 minuti al pomeriggio. Giusto il tempo di due sigarette. Non potevo parlare con gli altri che si trovavano in prigionia lì e che vedevo in quei 10 minuti. E poi c'erano le porte..le porte delle celle. Le usano come tortura psicologica (così come la luce sempre accesa e l'aria condizionata). Le porte azzurre di ferro, le sbattono fortissimo. E' un tuono che ti entra nel cervello e non esce più.
Su quelle porte i prigionieri picchiavano i pugni “voglio far valere i miei diritti....voglio uscire...voglio parlare..”.
Mi ero messa in testa ciò che gli avevo dichiarato, non volevo uscirne come una scema, ma a testa alta, lottando. Non ho mai bussato, mai chiesto nulla. Star lì dentro era da impazzire, in isolamento, senza nemmeno il tempo scandito dai pasti perchè ero in sciopero della fame.
Ho pensato.... “non devo pensare a cosa mi manca, ma a quello che ho per sopravvivere. Che cos'ho? Ho la mia testa, il mio corpo, questo spazio. Cosa posso fare?”. Facevo flessioni, addominali, cantavo, camminavo avanti e indietro nella cella. Tutto il giorno.
A quarto giorno mi hanno comunicato che qualcuno sarebbe venuto a portare la mia valigia e a quel punto me ne sarei andata... Boh! Dapprima mi sono chiesta chi cazzo sarebbe entrato lì dentro a portarmi una valigia e poi...per andare dove?
Quel giorno, verso le 2 del pomeriggio sono venuti a prendermi...e mi hanno portato nel cortile (quello dei 10 minuti d'aria). Mi hanno detto “aspetta qui”. E sono andati ad aprire la porta della prigione..io, che tremavo perchè congelata, con gli occhi sbarrati..mi aspettavo qualcuno del Consolato o uno sbirro.... E invece, quando l'ho vista entrare....Era G....aveva avuto il coraggio di venire da sola a Tel Aviv, in prigione da me, a portarmi una cazzo di valigia con il rischio di essere presa anche lei. Si è fermata a pochi centimetri davanti a me..perchè non sapeva se poteva mostrare che mi conosceva e non sapeva che storia avevo raccontato. E' stato qualche attimo, dove le tremavano le palpebre degli occhi, con la pelle tirata di quando trattieni tutto. E poi l'ho abbracciata. Non mi è scesa nemmeno una lacrima perchè non potevo piangere davanti ai boia; ma piango ancora adesso, ogni volta che penso a quel momento.
La prima domanda che le feci era per sincerarmi che il palestinese avesse avvisato che gli shabak avevano la mia simcard...ma lei mi rispose che il tizio non aveva detto nulla. Merda.
I soldati ci stavano addosso, non potevamo nemmeno sentire i nostri respiri in tranquillità e la visita durò pochi minuti.
Mi riportarono in cella, per venirmi a prendere la mattina dopo. Mi trasferivano nella prigione di Givon.
Arrivai a Givon con la mia cazzo di magliettina con la Palestin disegnata sopra...ero convinta di andare in mezzo ai palestinesi. Appena entrata capii dov'ero...
C'erano dei prigionieri con le tute arancioni, legati con catene alle caviglie, l'uno all'altro. Stavano lavorando delle aiuole. Ma non erano palestinesi, anzi, quando videro la maglietta avevano desiderio di farmi fuori (dai loro occhi).
E lì, alzarono il tiro con la tortura psicologica... mi misero in una specie di gabbia, un container. Tutto chiuso, tranne un buco di 10 cm per 10 cm sulla porta che però dava al loro corridoio.
La gabbia era di 2 mt per uno ed il soffitto potevo toccarlo con le mani. Era, ovviamente, una situazione claustrofobica. Mi lasciarono lì per ore... Mentre ero lì dentro, dall'altra parte di una delle parete della gabbia, sembrava stessero torturando qualcuno su una sedia con le rotelle (tipo quelle da ufficio) con un getto d'acqua.. La persona rantolava e chiedeva aiuto come se stesse affogando. Poi, l'acqua iniziò ad entrare anche nel mio container. Non so se fu una messa in scena per spaventarmi, ma quello che ho percepito è ciò che ho scritto.
Vennero a prendermi e mi portarono all'ennesimo interrogatorio dove mi comportai come nei precedenti. Mi dissero “tu vuoi continuare con lo sciopero della fame? Sei un problema di sicurezza. Quindi, se vuoi continuare, quella gabbia sarà la tua cella per il resto dei tuoi giorni. Scegli tu”.
Sapevo che quella gabbia era un metodo di tortura che ti fa perdere la lucidità dopo circa due giorni. Non potevo permettermelo, volevo durare il più possibile per permettere alla Farnesina di usarmi come ago della bilancia per la liberazione dei bambini palestinesi. Così interruppi lo sciopero della fame e uscìì al tempo stesso dall'isolamento.
Mi misero nel braccio femminile dei prigionieri con problemi di presenza illegale (o fatti simili). Ero in cella con due donne africane, una delle due era cattivissima. Iniziò da subito a rompermi i coglioni, ma avevo voglia zero di problemi con i prigionieri (come me).
Il giorno successivo andava già meglio con loro due. La “cattivissima” si chiamava Acuba Filastin. Tutte e due avevano fatto richiesta di asilo politico in israele e dovevano “attendere” in prigione per 5 anni. Erano lì da due anni e 6 mesi in quel momento; con i figli fuori che le aspettavano. Vivevano quella cella come “tutto il loro mondo” e la difendevano da qualsiasi intruso (come me). Non uscivano dalla cella nemmeno quando c'era la porta aperta e non parlavano con le altre prigioniere (e facevano bene, dopo capìì il perchè).
C'era una cinese, che aveva lavorato per gli israeliani per 8 anni, ma non l'avevano pagata solo per un 10% del suo lavoro..quando era arrivato il momento di avere tutti i soldi e tornare in Cina, cos'hanno fatto? Hanno chiamato la polizia ed hanno detto che lei era lì senza visto. Così dopo 8 anni di lavoro fu deportata, senza soldi e con quei pochi soldi che aveva preso ci dovette pagare l'avvocato.
C'erano un gruppo di filippine, sempre attaccate ai telefoni... Una di loro mi chiese se volevo parlare con il Consolato di Gerusalemme...mi disse “sai, ho un amico che lavora lì”... Eh, posso immaginare....
Mi offrì anche il caffè, mentre mi faceva le domande su chi ero e cosa facevo in Palestina...
Era la “manager” del gruppo delle Filippine. In prigione ci sono le “manager” che sono quelle che “trattano” con i carcerieri. La mia manager era Acuba Filastin, ma non me l'ha mai detto. La porto nel cuore quella Donna.
Ci svegliavano con le botte sulle porte alle 7,30. Alle 8,00 dovevamo essere tutte in piedi a lavare la cella con l'ammoniaca.... e tirare secchiellate d'acqua. Immaginate, appena sveglie, senza colazione, a tirare acqua ed ammoniaca....
Avevamo due lavandini nella cella: uno per lavare la frutta e il piatto dove si mangiava, e l'altro era un secchio in bagno per lavarti le mani ogni volta che andavi in bagno. Dovevamo star molto accorte su queste robe qui, perchè gira di tutto ed il contagio è facile.
Nel cortile chiuso anche nel soffitto da reti, c'era una casetta di plastica per far giocare i bambini. Ogni tanto ne entravano...in prigionia.... Poi, c'era il negozietto israeliano dove qualsiasi cosa costava come un rene (sigarette comprese) e puoi avere in cella SOLO le cose che vengono da quel negozietto.
Quando mi misero in cella con le donne, mi ridiedero anche il mio telefono... con la simcard... Lo facevano funzionare loro, gli shabak. Nonostante fosse ovvio, i palestinesi vollero chiamarmi ugualmente per dirmi “ciao” almeno al telefono. Sapevo che fuori erano impazziti tutti, che era partita la caccia alle streghe.
Il giorno successivo mi portarono in una stanza c'erano due soldatesse e due uomini con la kippa. Uno era un traduttore dall'italiano all'ebraico. Mi chiesero “sai dove ti trovi?” e io... “si, in Palestina”. E poi.. “sei pronta a rientrare in Italia?”, risposi “no, io voglio tornare in Palestina e voglio la liberazione dei 350 bambini palestinesi dalle vostre prigioni”. Poi chiesi cosa cazzo era questo dialogo.. Mi risposero che l'uomo era un Giudice militare e che siccome rifiutavo di rientrare in Italia volontariamente dovevo trovarmi un avvocato, perchè io con loro non potevo parlare.
Il giorno successivo arrivò a farmi visita il Console italiano a Tel Aviv che si scusò di non essere venuto prima, ma era all'estero. Li interrogò davanti a me per capire di cosa era accusata. Gli risposero “no, nessun, reato”. Il Console, allora seguì “ok, allora perchè la state tenendo in prigione?”. Gli risposero che era perchè mi rifiutavo di firmare il loro foglio. Il Console gli fece presente che non potevano farlo perchè io ero cittadina italiana e che dovevano parlarne. Il soldati gli risposero “è in detenzione amministrativa e parla con lei, Nicolas, non con noi, ti salutiamo.”.
Passarono altri due giorni. La Farnesina puntava a farmi rientrare in Italia e non c'era in corso nessuna trattativa per la liberazione dei bambini palestinesi. Al telefono dalla cella continuavo a ripetere alle persone in Italia di non chiedere la mia liberazione. (poi arrivo in Italia e trovo i manifesti “free Sam”..Vabbè).
L'ultimo giorno era già iniziato male: avevano portato dentro una donna dell'Est che si svenne per terra. Erano anni che era lì a Tel Aviv. Gli sono entrati in casa e dicevano che non era in regola con il visto. Il figlio, per scappare, era saltato giù dal terzo piano e lei non sapeva se era vivo o no. Contemporaneamente avevano portato dentro un'altra filippina che però diceva di essere una colona israeliana e imbastì il discorso con “questa terra è nostra, è scritto nella Bibbia”.... Mi sa che il mio sguardo non passò inosservato alla manager filippina, né alle guardie.
Dopo pranzo arrivò l'sms del Console: “stanno organizzando il tuo rientro su Fiumicino per domani mattina”. Nello stesso momento, le guardie, me lo dicevano a voce. Gli dissi da subito che avrei fatto resistenza.
Pochi minuti dopo il mio telefono smise di funzionare. Quella sera le mie compagne di cella cantarono e ballarono per me; una roba inventata al momento che diceva “tu, domani volerai..”. Regalai ad Acuba due spazzolini per i denti (oro in prigione). Lei mi rispose “ti porterò nel mio cuore, Dio ti benedica” e.. “cerca di non farti male quando vengono a prenderti”.
Il mattino successivo vennero all'alba, quando si inizia a lavare la cella. Erano tutte soldatesse. Non potevo nemmeno puntare i piedi per terra perchè si scivolava, era già pieno di acqua ed ammoniaca.
Mi limitai ad urlare frasi per le prigioniere e a sputare a random.
Quando mi portarono nella parte d'ingresso, mi rimisero nella gabbia, assieme ad altre due donne. Ma le due donne, soprattutto una, non riuscivano a star lì dentro. Lasciarono la porta aperta di pochi cm.
Ad una ad una ci fecero andare a ritirare i nostri “effetti” lasciati quando eravamo entrate. Nelle buste sigillate c'era tutto, tranne una cosa: era sparito il porta-accendino che mi aveva regalato Jihad, fatto a mano da lui quand'era in prigione. L'ennesima tortura mentale.
Fecero salire tutti/e sul bus, ma io mi sedetti per terra e dissi “non posso, non posso accettare, non posso smettere di lottare”.
Con molta tranquillità mi dissero “ok, ci pensiamo noi”. Arrivarono in 15 con le pistole elettriche, io ero seduta per terra, loro tutti attorno in piedi.
Non aveva più senso, mi avrebbero caricata comunque sul bus per l'aeroporto. Salii sul bus, ma già da lì ripartì lo stesso trattamento iniziale: non potevo parlare con gli altri, né sedermi vicino agli altri, né usare il telefono.
Ci riportarono di nuovo alla prigione di Ben Gurion, ma un soldato mi trattenne con la scusa di poter fumare. Faceva “il buono” per farmi parlare “cos'hai visto? Dove hai vissuto?”. Gli chiesi come mai non c'era né una sinagoga, né una moschea, né una chiesa.. Mi rispose “non siamo religiosi”. A posto, alla faccia della “terra data da Dio”.Mi riportarono da quelli dell'interrogatorio dove mi comunicarono che venivo deportata e che pertanto per 10 anni non potevo rientrare in israele (PALESTINA).
Restai altre ore in cella, poi mi dissero che era il momento. Mi chiusero nel retro di una jeep completamente chiusa e NON aprirono l'aria per respirare. C'erano 40 gradi. Non volevo bussargli per chiedergli l'aria, non avevo mai bussato in tutti questi giorni, non gli avevo mai chiesto nulla.
Quando arrivammo davanti all'aereo (non sono passata dall'aeroporto), pensai “ce l'ho fatta, non gli ho chiesto nulla nemmeno questa volta”. Ma, stazionarono con la jeep...non mi facevano scendere e stavo per collassare... Così ho dovuto bussargli e chiedergli l'aria. Mi risposero “ah, scusa, c'eravamo dimenticati”.
Mi portarono sull'aereo della El Al, tutti israeliani. Alcuni passeggeri protestarono per la mia presenza e perchè avevano fatto spostare 3 persone dai loro posti.... 3? Ok, non sono sola...
Vedevo la Palestina dall'aereo, per l'ultima volta e non potevo nemmeno piangere.
Sono stata deportata il 18 giugno 2015.
Arrivata a Fiumicino mi trattennero sull'aereo fino a quando non si svuotò di tutti i passeggeri. Sull'aereo salì la polizia italiana che prese il mio passaporto e mi disse “bentornata”. Bentornata un cazzo.
Dovevano chiudere il rapporto della Farnesina, quindi mi chiesero cos'era accaduto. Poi passarono altre ore perchè la mia valigia era casualmente sparita. La riportò un poliziotto.
Fuori c'erano i miei amici ad aspettarmi e ad abbracciarmi. Non c'era alcuna rappresentanza dallo Stato italiano e nessun giornalista. Anzi no, lo “Stato” c'era....era pieno di agenti della Digos.
Restammo a Roma quella notte a dormire. La polizia fece vedetta tutta la notte girando attorno all'hotel. Dissero che temevano attentati degli “estremisti”. Vabbè....
Due giorni dopo, mi ricollegai a facebook e scoprii che quella foto che era stata la motivazione della chiusura del mio account, era ancora lì.. e il mio account era tornato a funzionare. Ho semplicemente capito che i servizi avevano detto “basta” alla mia presenza in Palestina.
Questo, almeno, era quello che avevo capito allora.
Ora, trovo significante che a sapere che quel giorno andavo a Kuffr Qaddum c'erano le tre entità che ho citato prima: l'attivista italiano che si è defilato poco prima, l'autorità palestinese grazie al palestinese che c'era sul taxi con me, e israele tramite il mio telefono sotto controllo.
Cerchio chiuso.
Israele se ne può permettere centinaia come me, là. Chi non poteva più sostenere la mia presenza là erano gli altri due mostri.
Mi rimangono le fobie delle porte, della gente che se mi tocca o mi sfiora do i numeri, la claustrofobia, e altro ancora. Mi rimane la capacità di vedere l'orrore. Del tipo.. se ci sono 100 pecore, tutte uguali e solo una di loro soffre; io vedo quella che soffre e non vedo più le altre 99. Anzi, le vedo e mi incazzo. Ho reazioni orribili. Faccio sentire gli altri delle nullità. Tendo a tagliare i rapporti con tutti perchè ho solo merda da dargli. Ho completamente perso la voglia di andare in luoghi dove “c'è gente”.
Quello che ho costruito, lo vedo solo ora e mi sono resa conto che non è poco. E qui, ci soffro ancora di più. Eh sì, perchè di fatto mi hanno martirizzato in vita. Tutti i giorni vado a pulire i cessi per restare integra in una società che rifiuto e per poter mantenere la mia etica intatta. Tutti i giorni sono costretta a confrontarmi con le 99 pecore che sono il NULLA.

Ho dipinto la mia stanza di bianco ed azzurro, per onestà. Perchè dalla prigionia non ci sono mai uscita e ne sono cosciente. Ero in prigione quand'ero in Palestina così come quando lo ero a Givon, così come lo sono qui. Echna cullna asra.....siamo tutti prigionieri.
E allora riparto da lì, come nella cella: “non devo pensare a ciò che mi manca, ma a quello che ho. Ho il mio corpo, la mia mente, questo spazio. Cosa posso fare...”. Continuare a studiarli sicuramente, costruire una strategia e fare ciò che desidero. Ieri sera ero al concerto di Ginevra de Marco, cantava “Todo cambia”....bellissimo. Però avevo l'amaro in bocca....ne parlavo con un amico algerino e gli dicevo “pensa se salissi sul palco, dopo questa performance a dire a tutta questa gente che è bellissima, ma peccato che Mercedes Sosa abbia vissuto in un kibbutz occupando la Palestina...”. Lui mi ha risposto che non capirebbero mai perchè non hanno vissuto là, non vengono da là, non sanno; non capirebbero, mi griderebbero “antisemita, fascista, pazza”. Ecco, appunto.

I complici che hanno provocato il mio rapimento sono pronta a perdonarli, perchè lotto per la Libertà di tutti, anche per la loro che sono schiavi dei mostri.
Concludo dicendovi che è solo il racconto del mio rapimento, non è nulla, veramente nulla a confronto di ciò che fanno ai palestinesi.


martedì 13 giugno 2017

LIBERA MORTE



Mohammed Altloul aveva fatto e divulgato un video dal titolo "libera morte" dove denunciava come i palestinesi di Gaza vadano al confine per difendere la libertà e trovino la morte. Tre giorni fa è stato preso dai servizi di sicurezza di Gaza ed accusato di "cattivo uso della tecnologia". Al padre è stato vietato di fargli visita. Sono passati tre giorni e di Mohammed non si sa nulla.
Mi ricordo il MANIFESTO DEI GIOVANI DI GAZA che fu pubblicato anche su Guerrilaradio.... Credo sia giusto ripubblicarlo ogni tanto, soprattutto in momenti come questo:
"Vaffanculo Hamas. Vaffanculo Israele. Vaffanculo Fatah. Vaffanculo Onu. Vaffanculo Unrwa. Vaffanculo Usa! Noi, i giovani di Gaza, siamo stufi di Israele, di Hamas, dell’occupazione, delle violazioni dei diritti umani e dell’indifferenza della comunità internazionale! Vogliamo urlare per rompere il muro di silenzio, ingiustizia e indifferenza, come gli F16 israeliani rompono il muro del suono; vogliamo urlare con tutta la forza delle nostre anime per sfogare l’immensa frustrazione che ci consuma per la situazione del cazzo in cui viviamo; siamo come pidocchi stretti tra due unghie, viviamo un incubo dentro un incubo, dove non c’è spazio né per la speranza né per la libertà. Ci siamo rotti i coglioni di rimanere imbrigliati in questa guerra politica; ci siamo rotti i coglioni delle notti nere come il carbone con gli aerei che sorvolano le nostre case; siamo stomacati dall’uccisione di contadini innocenti nella buffer zone, colpevoli solo di stare lavorando le loro terre; ci siamo rotti i coglioni degli uomini barbuti che se ne vanno in giro con le loro armi abusando del loro potere, picchiando o incarcerando i giovani colpevoli solo di manifestare per ciò in cui credono; ci siamo rotti i coglioni del muro della vergogna che ci separa dal resto del nostro Paese tenendoci ingabbiati in un pezzo di terra grande quanto un francobollo; e ci siamo rotti i coglioni di chi ci dipinge come terroristi, fanatici fatti in casa con le bombe in tasca e il maligno negli occhi; abbiamo le palle piene dell’indifferenza da parte della comunità internazionale, i cosiddetti esperti in esprimere sconcerto e stilare risoluzioni, ma codardi nel mettere in pratica qualsiasi cosa su cui si trovino d’accordo; ci siamo rotti i coglioni di vivere una vita di merda, imprigionati dagli israeliani, picchiati da Hamas e completamente ignorati dal resto del mondo. C’è una rivoluzione che cresce dentro di noi, un’immensa insoddisfazione e frustrazione che ci distruggerà a meno che non troviamo un modo per canalizzare questa energia in qualcosa che possa sfidare lo status quo e ridarci la speranza. La goccia che ha fatto traboccare il vaso facendo tremare i nostri cuori per la frustrazione e la disperazione è stata quando il 30 Novembre gli uomini di Hamas sono intervenuti allo Sharek Youth Forum , un’organizzazione di giovani molto seguita con fucili, menzogne e violenza, buttando tutti i volontari fuori incarcerandoni alcuni, e proibendo allo Sharek di continuare a lavorare. Alcuni giorni dopo, alcuni dimostranti davanti alla sede dello Sharek sono stati picchiati, altri incarcerati. Stiamo davvero vivendo un incubo dentro un incubo. E’ difficile trovare le parole per descrivere le pressioni a cui siamo sottoposti. Siamo sopravvissuti a malapena all’Operazione Piombo Fuso, in cui Israele ci ha bombardati di brutto con molta efficacia, distruggendo migliaia di case e ancora più persone e sogni. Non si sono sbarazzati di Hamas, come speravano, ma ci hanno spaventati a morte per sempre, facendoci tutti ammalare di sindromi post-traumatiche visto che non avevamo nessuno posto dove rifugiarci. Siamo giovani dai cuori pesanti. Ci portiamo dentro una pesantezza così immensa che rende difficile anche solo godersi un tramonto. Come possiamo godere di un tramonto quando le nuvole dipingono l’orizzonte di nero e orribili ricordi del passato riaffiorano alla mente ogni volta che chiudiamo gli occhi? Sorridiamo per nascondere il dolore. Ridiamo per dimenticare la guerra. Teniamo alta la speranza per evitare di suicidarci qui e adesso. Durante la guerra abbiamo avuto la netta sensazione che Israele voglia cancellarci dalla faccia della Terra. Negli ultimi anni Hamas ha fatto di tutto per controllare i nostri pensieri, comportamenti e aspirazioni. Siamo una generazione di giovani abituati ad affrontare i missili, a portare a termine la missione impossibile di vivere una vita normale e sana, a malapena tollerata da una enorme organizzazione che ha diffuso nella nostra società un cancro maligno, causando la distruzione e la morte di ogni cellula vivente, di ogni pensiero e sogno che si trovasse sulla sua strada, oltre che la paralisi della gente a causa del suo regime di terrore. Per non parlare della prigione in cui viviamo, una prigione giustificata e sostenuta da un paese cosiddetto democratico. La storia si ripete nel modo più crudele e non frega niente a nessuno. Abbiamo paura. Qui a Gaza abbiamo paura di essere incarcerati, picchiati, torturati, bombardati, uccisi. Abbiamo paura di vivere, perché dobbiamo soppesare con cautela ogni piccolo passo che facciamo, viviamo tra proibizioni di ogni tipo, non possiamo muoverci come vogliamo, né dire ciò che vogliamo, né fare ciò che vogliamo, a volte non possiamo neanche pensare ciò che vogliamo perché l’occupazione ci ha occupato il cervello e il cuore in modo così orribile che fa male e ci fa venire voglia di piangere lacrime infinite di frustrazione e rabbia! Non vogliamo odiare, non vogliamo sentire questi sentimenti, non vogliamo più essere vittime. BASTA! Basta dolore, basta lacrime, basta sofferenza, basta controllo, proibizioni, giustificazioni ingiuste, terrore, torture, scuse, bombardamenti, notti insonni, civili morti, ricordi neri, futuro orribile, presente che ti spezza il cuore, politica perversa, politici fanatici, stronzate religiose, basta incarcerazioni! DICIAMO BASTA! Questo non è il futuro che vogliamo! Vogliamo tre cose. Vogliamo essere liberi. Vogliamo poter vivere una vita normale. Vogliamo la pace. E’ chiedere troppo? Siamo un movimento per la pace fatto dai giovani di Gaza e da chiunque altro li voglia sostenere e non si darà pace finché la verità su Gaza non venga fuori e tutti ne siano a conoscenza, in modo tale che il silenzio-assenso e l’indifferenza urlata non siano più accettabili. Questo è il manifesto dei giovani di Gaza per il cambiamento! Inizieremo con la distruzione dell’occupazione che ci circonda, ci libereremo da questo carcere mentale per riguadagnarci la nostra dignità e il rispetto di noi stessi. Andremo avanti a testa alta anche quando ci opporranno resistenza. Lavoreremo giorno e notte per cambiare le miserabili condizioni di vita in cui viviamo. Costruiremo sogni dove incontreremo muri.
Vogliamo essere liberi, vogliamo vivere, vogliamo la pace.
LIBERTA’ PER I GIOVANI DI GAZA! "

venerdì 9 giugno 2017

DIETRO, DENTRO E DAVANTI LO SCIOPERO DEI PRIGIONIERI POLITICI PALESTINESI



Non so quanti di voi sanno come si sta dopo aver subito una violenza. Hai in mente solo la parola “no” e non vuoi vedere più il mondo.
E' da dieci giorni che sto così; da quando la moglie di Barghuti è andata alla tenda a Ramallah e ha annunciato lo stop dello sciopero della fame dei prigionieri politici palestinesi. Era il 41° giorno, primo giorno di Ramadam.
Ho pensato e ripensato se scrivere o no quest'articolo.. e su come scriverlo per omaggiare l'atto di estremo eroismo dei 1559 prigionieri politici in sciopero della fame (poi, a fine articolo, capirete perchè scrivo 1559 e non 1600).
Ho aspettato e con me hanno aspettato i palestinesi, che arrivassero altre comunicazioni in merito. Purtroppo è arrivata solo la realtà, violenta, orrenda..da dire “no”. Un palestinese, l'altro ieri mi ha detto “scrivilo, il tuo pensiero è giusto”.
Così scrivo quest'articolo, per omaggiare i prigionieri politici, ed anche per un altro motivo che scriverò dopo.
Ufficialmente lo sciopero della fame dei prigionieri politici palestinesi è stato indetto da Barghuti, leader di Fatah in pirgione. E voi tutti avete postato la notizia e gli aggiornamenti. Ecco, iniziamo da qui..da com'è iniziato...:
Barghuti lancia lo sciopero della fame ed invita i prigionieri a seguirlo. I prigionieri politici gli hanno risposto “no, perchè tu non sei il leader dei prigionieri politici e perchè ci sono comitati dei prigionieri politici che organizzano queste azioni”. Una volta che i vari comitati si sono sentiti con i prigionieri politici, quest'ultimi hanno deciso di scioperare, ma per i cazzi loro, per la loro situazione e non per seguire Barghuti. (Tanto che ci sono ancora prigionieri in sciopero della fame, oggi, e nessuno ne parla).
Motivazioni e scopi dello sciopero:
  • la maggior parte dei prigionieri politici palestinesi vive praticamente in 41 bis. (non possono telefonare né vedere i parenti)
  • Le cure mediche sono diminuite od addirittura eliminate
  • molti di loro sono messi in celle dove non vedono mai la luce del sole
  • moltissimi sono in detenzione amministrativa e non vengono rilasciati allo scadere della pena.
  • E (punto fondamentale per capire quello che dirò): è stata soppressa la seconda visita con i parenti. Attenzione a questo punto! Questa visita non è stata soppressa dagli israeliani, ma dalla CROCE ROSSA INTERNAZIONALE. Da qui vengono le motivazioni dei presidi caricati, davanti alle sedi della Croce Rossa, da parte della polizia palestinese; proprio perchè si dava visibilità a questo punto.
Ora, cosa accade? Accade, appunto, che la moglie di Barghuti annuncia che israele ha accolto le richieste dei prigionieri politici in sciopero della fame e questo, quindi, si ferma. E' falso.
L'unico punto ristabilito è proprio quest'ultimo: è stata ripristinata la seconda visita dei parenti, che però era stata annullata dalla Croce Rossa, non da israele! Il resto richiesto? Il resto è in “trattativa”.
Tutto quello che vi ho scritto fino ad ora era il “dentro”, ora passo al “dietro”; che è orribile.

Barghuti ha lanciato lo sciopero della fame per fare la “volata in politica”. E qui i suoi sostenitori diranno..”ma figuriamoci, le solite accuse, perchè? Tanto è in prigione...”. Sì, certo, ai pro-pal la potete raccontare....io ho aspettato le notizie ufficiose delle strade in Palestina. Ed è questa:

Barghuti sarà presto libero. Verrà rilasciato con lo scambio dei prigionieri che Hamas ha a Gaza (i soldati presi durante il bombardamento a Gaza nel 2014, quando io ero là). La liberazione di Barghuti è appoggiata, quindi, da Hamas e anche da israele. I prigionieri politici palestinesi che hanno fatto lo sciopero della fame per 40 giorni e che stanno morendo, ora, lo sapevano. E' anche per questo che hanno fatto questa scelta: “noi scioperiamo, rischiamo di crepare, per noi, per noi prigionieri, non per te, Barghuti, non ci facciamo usare da te”.
La stima che io provo per questi prigionieri politici non ha misura, così come lo schifo che provo per Barghuti e per i membri di Fatah che hanno sostenuto questa porcata. I prigionieri politici palestinesi sono la linea rossa che non si doveva valicare; questo teatrino politico l'ha oltrepassata ed è una violenza che non ha pari ai miei occhi. Li conosco i “teatrini politici” fatti giù in Palestina, tutti. E voi, voi che mi avete attaccata più volte, sapete che li conosco (questa è una delle motivazioni per aver fatto il dossier... “screditiamola prima, prima che parli, prima che riporti anche a Barnard e ad Atzmon...screditiamoli tutti e tre, così se e quando parlerà..gli daranno della pazza”).

Ed ecco il “davanti”...
Avrete Barghuti libero, avrete il vostro cazzo di “Stato di Palestina”. Io avrò la coscienza pulita per aver fatto qualcosa per i prigionieri politici palestinesi: ho scritto la verità.

In questo momento Mohammed Al Qeeq (anche lui vi siete dimenticati), sta ancora in prigionia....e le sue condizioni di salute sono peggiorate.
In questo momento, ci sono ancora prigionieri politici palestinesi in sciopero della fame.
In questo momento, i prigionieri politici palestinesi che hanno scioperato, sono in pericolo di vita.
Durante quei 40 giorni, sono morti palestinesi che da fuori sostenevano i prigionieri...alcuni di loro avevano 15 e 16 anni...
Vi rendete conto di quale linea rossa sia stata oltrepassata?? La capite la violenza?

Erano 1559 in sciopero della fame. Non si sono fatti prendere per il culo da Barghuti. Bravi!

Voi, che leggete e postate notizie su di loro...siate almeno una loro unghia: non fatevi prendere per il culo.


p.s: la foto è di Saed, di Nablus, 38 giorni di sciopero della fame...