lunedì 30 luglio 2018

GRAZIE MA...

Scusate, ma alcuni di voi mi stanno scrivendo a seguito del secondo processo che mi vede imputata. Mi scrivete che volete sostenermi inviando una donazione. Grazie, è ovvio che ne ho bisogno, ma MI SONO ROTTA IL CAZZO DI ACCETTARE LE VOSTRE DONAZIONI. Se volete sostenermi, lottate, così non sarò più una mosca bianca, sola, da bersagliare. Grazie.

FAR CONOSCERE LA CAUSA PALESTINESE?



5 settembre 1972. Olimpiadi di Monaco. Un gruppo della Resistenza palestinese che non ha mai aderito ai “negoziati di pace di Arafat”, entra nel villaggio olimpico di Monaco in Germania e sequestra gli atleti israeliani. L'azione si concluderà con il massacro sia dei palestinesi che dei sequestrati in modo poco chiaro quando intervengono le “teste di cuoio” tedesche/israeliane. (Gli israeliani avevano già dichiarato il totale rifiuto a negoziare con i palestinesi per il rilascio dei sequestrati).
Gli scopi di quest'azione erano due: il rilascio dei prigionieri politici palestinesi e di Baader e Meinhof (RAF) e far conoscere a tutto il mondo la causa palestinese (tutto il mondo aveva gli occhi puntati sugli schermi TV).
Non mi dilungo sul primo scopo né sui dettagli dell'azione; è il secondo scopo che mi fa riflettere.

Era il 1972 e tutto il mondo aveva gli occhi sugli schermi televisivi. Sequestrare gli atleti israeliani e far vivere il tutto in diretta è ovviamente un grosso riflettore sulla causa palestinese.

29 luglio 2018. Tg de La7: “rilasciata Ahed Tamimi dalle prigioni israeliane, dove era imprigionata da mesi per aver dato uno schiaffo ad un soldato israeliano. E' l'immagine della Palestina che non accetta i negoziati di pace di Mahmuod Abbas e che lotta, Resiste”. Lanciano il video-servizio e c'è Ahed che viene ricevuta ed abbracciata da Mahmuod Abbas (qualcuno della redazione lo dica alla conduttrice...evitare figure così di merda..please).
Conosco Ahed e la famiglia Tamimi, sono felice che sia stata rilasciata, ma non scrivo quest'articolo per parlare di loro.
Scrivo perchè mi ha fatto riflettere sul livello della lotta (mediatica e non).
Oggi la lotta palestinese sarebbe rappresentata da uno schiaffo ad un soldato? Quanto siamo lontani dal livello dell'azione (mediatica e non) di Settembre Nero?
La situazione in Palestina dal 1972 al 2018 è peggiorata di cento volte ed il peggioramento è inversamente proporzionale al nostro livello di lotta (dico “nostro” mettendo dentro tutti).

E dopo aver scritto questo mi son fermata per un'oretta perchè non so come continuare. Forse c'è solo lo spazio bianco per riflettere.

venerdì 27 luglio 2018

VOGLIONO DISTRUGGERMI





Per favore, evitate i commenti di solidarietà a seguito della notizia che do in quest'articolo. Tanto già ho visto com'è andata la “solidarietà” quando sono stata condannata alla prigione e ai 10 mila euro (pochissimi hanno inviato la donazione per le spese legali e per i palestinesi, son giusto riuscita a pagare i viaggi per le udienze miei e dell'avvocato ed avanzare le briciole per i palestinesi).

Allora.... Oggi ho avuto la bella notizia dal mio avvocato Ettore Grenci, che inizia un altro processo contro di me; a novembre a Roma.
La denuncia risale ad un articolo del 2015, dove esprimevo la mia solidarietà agli ebrei che si opponevano ad israele e comunicavo che su facebook l'hasbara aveva creato pagine con la mia faccia ed il mio nome e mi insultava. Su quelle pagine PUBBLICHE ci scrivevano in diversi.. dai loro pubblici commenti ho riportato i loro profili pubblici dove mi insultavano.
Una soldatessa israeliana se l'è presa a male e mi ha denunciata per diffamazione aggravata, istigazione all'odio razziale e forse anche altro.

E' più che evidente che la denuncia non ha fondatezza, in quanto si tratta di profili pubblici si facebook, ai quali io non ho rivolto insulti né aggiunto nulla.
Ma, è più che evidente cosa stanno facendo... vogliono distruggermi, chiudermi la bocca.
Nessuno di noi, se facesse una denuncia del genere, troverebbe un p.m. che porta avanti l'indagine. Gli israeliani sì.
E' appena finito il processo in primo grado per la storia del muro israeliano e guarda caso mi notificano l'inizio di quest'altro....

Guardate, ok che mi stracciate i maroni perchè non so come cazzo farò ad affrontare un secondo processo e per di più a Roma, con spese di viaggio mie e dell'avvocato...; ma, io non ho nulla da perdere. La cosa più grave che israele poteva farmi era la deportazione dalla Palestina, e l'ha già fatto.
Quindi, ripeto, non ho nulla da perdere e me ne fotto.

Qui l'articolo in questione: https://samanthacomizzoli.blogspot.com/2015/03/agli-ebrei-prime-vittime-di-israele.html

giovedì 26 luglio 2018

AI 4 RISTORANTI


  • Alla redazione di 4 Ristoranti (TV8) mail redazione.quattroristoranti@magnoliatv.it
  • Allo Chef Alessandro Borghese



Egregia redazione di 4 Ristoranti ed Alessandro Borghese,
questa sera ho visto con poco piacere la vostra puntata sui ristoranti post etnici di Milano. Dalla vostra trasmissione televisiva nessuno, tanto meno io, si aspetta prese di posizione su politica/etica/diritti umani. Sono certa che non è un vostro obiettivo; e non lo è nemmeno di chi la guarda ad ora di cena, mettendo il cervello sul comodino, ed assistendo con pura leggerezza. Così come, appunto, faccio anch'io.
Ma in questa puntata è accaduto qualcosa per la quale non posso fare a meno di scrivervi pubblicamente.
Uno dei quattro concorrenti era un israeliano con cucina tipica ( e già qui mi sono chiesta quale fosse la cucina tipica... visto che israele è una colonia formata da italiani, spagnoli, russi, americani, francesi, etc.etc.).
Ma, la cosa grave è che a codesto ristorante (The boidem in via santa marta) venga servito e sia stato servito, durante la vostra trasmissione, come cucina israeliana: l'hummus palestinese, i falafel palestinesi e, come se non bastasse, anche il cus-cus maghrebino. Tutto venduto come israeliano.
Cus cus a parte, ciò che è stato fatto alla cucina palestinese in questo caso è uno STUPRO. Ripeto, non vi chiedo di prendere posizione davanti ad un genocidio, vi scrivo proprio per onestà culinaria.
Ok che eravate nella “Milano da bere”, ma non si può dar da bere veramente tutto....
Se così è, allora si perde di credibilità per qualsiasi contenuto del programma.

Come se non bastasse, sempre nella stessa puntata, un altro ristoratore egiziano che si è dovuto pure mangiare il “cus cus israeliano” nel suddetto ristorante (quindi supportare anch'esso un altro furto d'identità); avrà sicuramente visto la trasmissione dove nella cucina del boidem l'aiuto cuoco chiedeva al proprietario israeliano un po' nervoso “hai litigato con l'arabo?”.
Scusate, ma stupro, furto d'identità e razzismo, non mi aspettavo davvero di vederli a “4 ristoranti”.
Vi chiedo di replicare pubblicamente a questa mia. Non mi aspetto un “Palestina libera”, ma l'onestà quella sì, porca miseria.

Distinti saluti
Samantha Comizzoli
video reporter e regista
(sparata, rapita, imprigionata e deportata dagli israeliani)

UNA FAVOLA DALLA MAREMMA CHE INSEGNA MOLTO




Da mesi frequento un amico che faceva il pastore di pecore in Maremma. Mi ha spiegato che in Maremma, l'unica cosa che non si uccide sono le pecore perchè sono preziose per i pastori. Un giorno mi si avvicina con il telefono in mano per farmi vedere una foto. Pensavo ad una foto delle vacanze o qualcosa dal web, così come la “gente” è solita fare. Invece, mi fa vedere questa foto, di questa capra e mi dice che si chiama Valentina. Mi ha raccontato la storia di Valentina, che sembra una favola, ma è una storia vera.

Il pastore aveva 400 pecore da badare in Maremma. Un giorno è arrivata, da sola, una capra. Si è semplicemente unita al gregge di pecore. Lui non l'ha mandata via ed, anzi, si è accorto che era molto intelligente. Così le ha dato un nome, solo a lei. Valentina.
Valentina ha iniziato a vivere lì con loro, con il pastore, i due cani e le 400 pecore. Tutti i giorni al pascolo; di sera il pastore e i due cani rientravano. Fino ad una sera.... è tardi, il pastore e i due cani sono lontani dal gregge, ma in lontananza vede che è arrivato un mostro: l'uomo.
Qualcuno, forse, ha appiccato un incendio proprio dove ci sono le pecore. Il pastore corre con i cani, ma è lontano e mentre corre e corre, pensa al disastro; e mentre corre e corre vede....:
vede Valentina che, un po' a cornate, un po' a belati... spinge le pecore lontano dal fuoco e le guida.
Valentina, da sola, ha salvato tutte le 400 pecore.
La storia finisce con “è rimasta lì con noi per tutta la vita, fino a quando non è morta di vecchiaia”, mentre guarda la foto di Valentina con gli occhi luminosi ed il sorriso. Io, ovviamente, ho il cuore in mano.

Che cosa mi ha detto questa storia? Parecchie cose:
  1. l'amore fra pecore, capra, pastore.
  2. Che né le pecore, né il pastore, né i cani, né Valentina sono stati razzisti. E tutti hanno avuto la loro vita tranquilla.
  3. Com'è un vero leader...: un carattere umile, che si adatta al resto del gruppo, ma che fa la differenza nel momento giusto. Con coraggio, davanti al pericolo ed alle possibili incomprensioni.
  4. Che il mostro è sempre l'essere umano, ma che al tempo stesso ci sono ancora pochissimi esserei umani che non sono mostri. Questi, che vivono anche in silenzio, ma creando bellezza, soffrendo in un mondo di merda.
Quando il pastore mi ha raccontato questa storia, mi ha dato tanto. Mi ha dato colori, emozioni. Ho aspettato un bel po' prima di scriverla, perchè forse era peccato buttare in un mondo di merda (anche del web) una storia, vera, così bella che sembra una favola. Ma, ho pensato che ogni volta che scrivo di qualcuno, è un modo per far continuare ad esistere quel qualcuno. E ho pensato che potevate raccontare ai vostri figli, la favola di Valentina.



venerdì 13 luglio 2018

VI RACCONTO UN SOGNO: MARTA E LE DONNE DEL RAJASTHAN




Fra le persone che mi seguono dai tempi della Palestina c'è Marta. Io e Marta ci siamo incontrate dal vivo alla proiezione del mio terzo film. Marta è una giornalista scrittrice con un master in filosofia alla Jawaharlal University di Nuova Delhi, India. Vincitrice del festival del Primo Romanzo a Cuneo con “La discesa della Paura”. Ha vissuto e lavorato per diverse testate giornalistiche in Gran Bretagna, Stati Uniti e India. E' in questo ultimo Paese che Marta Franceschini si è soffermata trovando l'umanità, la compassione, la pietà.
Marta sta cercando di realizzare un sogno, non solo suo, ma di centinaia di donne e future-donne.
Ho visitato Madrasa Hanfiya nel Marzo 2018. Avevo sentito parlare di questa scuola e del suo progetto rivoluzionario di libera-educazione, e volevo vedere coi miei occhi di cosa si trattava.
Otto ore di macchina, su strade per lo più sconnesse, per arrivare nel distretto di Barmer, nel mezzo del deserto del Rajasthan. In pratica, al centro del nulla. Chilometri e chilometri di secca terra d’arbusti, per lo più coltivata a cumino, e spezzata da pochi alberi bassi e temerari come guerrieri dalle mani nude..... ad oggi la percentuale di analfabetismo femminile nelle comunità musulmane del Rajasthan e dell’adiacente stato del Gujarat, è tra le più alte e drammatiche del mondo: una bambina su due non ha accesso all’istruzione.....Zeinab Banu, giovane laureata in Letteratura Urdu presso la Gujarat University ha affrontato il problema con un’intuizione geniale: se l’offerta di scolarizzazione fosse stata non solo gratuita, ma avesse anche dato loro la possibilità concreta di avere una bocca in meno da sfamare per otto anni di fila, forse sarebbero stati ben felici di autorizzarla. Il 18 novembre 2011 è stata fondata la scuola Madrasa Hanfiya, che offriva vitto, alloggio ed educazione gratuita a bambine povere musulmane. Il primo anno erano 50 in tutto, oggi sono 130. 130 future donne a cui viene data la possibilità di istruirsi e di vivere per ben otto anni in un ambiente sano e protetto, di poter crescere insomma al riparo da quei pericoli e da quelle violenze di cui le bambine di tutta l’India sono purtroppo le principali vittime quotidiane. Volevo verificare con i miei occhi, toccare con mano le condizioni di vita di queste bambine per capire se il progetto, bellissimo sulla carta, lo fosse anche nella realtà. Varcata la soglia della Madrasa mi sono infatti ritrovata in una vera e propria oasi umanitaria..... Il sorriso sempre pronto, l’allegria ma anche il senso del dovere, il rispetto reciproco, la gentilezza, la responsabilità, il silenzio… tutto sembra svolgersi con la naturalezza delle cose buone e giuste. In dieci giorni di permanenza non ho assistito ad un singolo momento di tensione, non ho visto una lacrima, un capriccio, un dispetto, una crisi. Le bambine più grandi si occupano amorevolmente di quelle più piccole, e ognuno svolge il proprio compito con gioia e competenza. I due insegnanti esterni, che ogni giorno arrivano da decine di chilometri di distanza, per stipendi che qui in occidente non ci farebbero nemmeno alzare la testa, parlano delle bambine con occhi umidi di commozione, e spesso si fermano ben oltre l’orario di lezione. Le studentesse, che vanno dai 5 anni ai 15, non possiedono un singolo giocattolo, non hanno né televisori né cellulari, hanno un solo vestito a testa, un paio di sandali, una coperta, e un piccolo baule dove tenere i loro eventuali oggetti personali. Dormono per terra, sdraiate su sottili trapunte di cotone.”
Ho riportato le parole dirette di Marta, che ha visto e vissuto lì, perchè solo lei poteva parlarne al meglio, rendervi l'idea..... Ora, arrivo al “sogno”, sempre riportando le parole di Marta Franceschini:
Durante la mia permanenza ho avuto modo di scoprire che il costo di un anno scolastico, compreso il mantenimento delle 130 studentesse, gli stipendi degli insegnanti e del personale, gli approvvigionamenti, le penne, i quaderni, i libri, le bollette e i trasporti non supera i 20.000 €.
In altre parole, una cifra ridicola, che qui da noi è sufficiente a malapena per mantenere un bambino solo. Allora, mi è venuta un’idea…Durante i dieci giorni passati a stretto contatto con loro, ho avuto la fortuna di poter osservare da vicino i prodotti della loro arte, e ne sono rimasta ammaliata. I finissimi ricami degli abiti tradizionali, le tecniche di trapunture delle coperte, le decorazioni, i cesti, gli intarsi: una produzione di arte semplice, della cui bellezza e del cui valore gli stessi autori e autrici restano inconsapevoli.
Per questo ho pensato di aprire un laboratorio artigianale all’interno della scuola, dove coltivare questi talenti, salvaguardare tecniche antiche e preziose di artigianato, creare una produzione rivolta non solo al mercato indiano ma anche all’esportazione, e commercializzarla con l’obbiettivo di rendere la scuola autonoma economicamente.
Insomma, una piccola attività artigianale capace di fatturare almeno 20.000 € l’anno. Un progetto dunque di auto-sostenibilità, che miri a liberare il futuro della Madrasa dall’incognita delle donazioni, e le permetta di stare in piedi da sola. Per usare una metafora: invece del pesce, regalare una canna da pesca a chi ha fame.”

È nato così il progetto UN FIORE NEL DESERTO che potete vedere a questo link (nel sito web anche la possibilità di donare direttamente): https://madrasahanfiya.com/

Supporto il sogno/idea di Marta divulgando con questo articolo, ma anche mettendomi a disposizione per eventi-raccolta fondi futuri. Alcuni stanno organizzando eventi con la presenza di Marta direttamente (nel caso vogliate farlo, vi tocca sbrigarvi perchè a settembre Marta tornerà in India).
Spero che questo sogno si avveri, per Marta, per le donne, per la Libertà.