Oggi Farah è un campo
profughi di 7000 persone nato nel 1948. Le famiglie sono arrivate qui
con la Nakba da Haifa e Jaffa. Vivevano sul mare e ora al mare non
possono nemmeno andarci, così come a Gerusalemme.
L'insediamento illegale
israeliano più vicino è Elon Moreh, ma tutte le notti nel campo
arrivano i soldati israeliani sparando e rapendo shebab o bambini.
Attualmente 20 shebab del campo sono in prigione, la maggior parte di
loro sono in detenzione amministrativa. 4 di loro sono bambini. Il
campo ha avuto 40 martiri, uno di loro è in detenzione; ovvero non
hanno ridato il corpo alla famiglia. Il martire si era fatto
esplodere a Gerusalemme, Mohammed Azaul, e sperano di riaverlo
quest'anno per dargli degna sepoltura. Ora è nel cimitero dei
numeri.
Farah ha uno dei più
grandi campi dal calcio della West Bank. Farah è famosa per gli
shebab e per la tradizione di Resistenza. Quasi tutti qui sono stati
detenuti da israele fra la prima e la seconda intifada. Tutte le
Donne qui hanno figli o mariti feriti, uccisi o detenuti.
Ma Farah è conosciuta in
Palestina per un altro motivo: qui vi era un'orribile prigione.
La prigione di Farah è
stata un “dono” degli inglesi, ma nel 1982 viene presa sotto il
controllo israeliano e da Ariel Sharon. Diventa un posto dove
rinchiudere gli shebab.
Nel 1995, dopo gli
accordi di Oslo, Arafat chiude la prigione e la trasforma in un
centro sportivo; dove c'è appunto il campo da calcio.
I componenti della sede
municipale di Farah ci accompagnano dentro all'ex prigione. Il
responsabile è stato detenuto qui, per due anni e ci fa da
cicerone...
Nel giardino ci sono
bellissime palme e fiori, dall'esterno sembra una bellissima
fortezza. All'entrata c'è una scrivania, è tutto pulito e ben
imbiancato. Quell'entrata, una volta, era il luogo dove si svolgevano
i “falsi” processi.
E da qui in poi...inizia
l'orrore.
C'è un primo corridoio
che porta in un luogo all'aperto, vicino ad un muro. Quando i
prigionieri passavano quel corridoio dovevano fermarsi nel luogo
all'aperto, denudarsi davanti ai soldati (uomini e donne) e stavano
lì, in piedi, perchè in quel momento dovevano dimenticare il loro
nome e imparare la loro nuova identità: un numero. Mentre erano lì,
nudi, davanti ai soldati succedeva un po' di tutto, soprattutto nei
confronti delle prigioniere donne e dei bambini. Chi faceva
resistenza volontaria o involontaria nell'imparare il proprio numero,
veniva sbattuto contro quel muro. L'attuale responsabile se lo
ricorda bene quel muro. Segue subito un altro orrore... ci sono dei
quadrati di cemento che fanno da sedute. Lì sopra venivano legati
due a due i prigionieri di schiena fra loro e con le mani legate
dietro alle loro schiene. Restavano lì per ore, sotto al sole e i
soldati gli tiravano le pietre in testa. Ci dicono di due bambini,
legati lì, e dei soldati che gli stavano davanti e ci fanno
intendere che i soldati si masturbassero davanti addosso ai bambini.
Subito dopo c'è un altro
muro, bianco, perchè è stato imbiancato, ma non sono riusciti con
quel bianco a coprire quello che c'era sotto...ci sono i nomi dei
prigionieri che loro stessi hanno inciso nella pietra.
Ed ecco un altro
corridoio che porta alle celle d'isolamento. Le celle sono larghe
circa 80 cm e lunghe circa 1 mt e mezzo, senza bagno. Dentro a quelle
celle ci restavano minimo 18 giorni. Lì dentro gli veniva passato il
cibo da sotto la porta e urina e feci stavano sul pavimento, perchè
appunto, non c'era il bagno.
Anche qui israele prima
di lasciare lo stabile ha imbiancato le pareti nel tentativo di
coprire cosa succedeva là dentro. Ed in effetti il sangue alle
pareti è stato coperto, ma anche qui, non hanno potuto coprire
quello che i prigionieri avevano inciso nel muro: i loro nomi, i nomi
di chi amavano, i calendari e i giorni che passavano.
Esco nel giardino,
bellissimo, ma per quanto con la bellezza abbiano fatto quel luogo un
centro sportivo; è un luogo dell'orrore che nessuno può dimenticare
e si respira nell'aria..l'odore della tortura e della violenza.
Parlo con il responsabile
che è stato, appunto, due anni lì dentro. Mi dice che ha scritto un
diario in quei due anni e che lo legge spesso ai suoi figli perchè
devono sapere chi è il mostro e devono essere preparati. Mi dice
anche che teneva i noccioli delle olive che mangiava in carcere per
fare il rosario musulmano e pregare. “Ho ancora tutte quelle cose
fatte con il nulla in prigione, anche se una notte i soldati sono
entrati in casa mia e mi hanno rubato un po' di quelle cose. Spero di
riaverle”.
Farah, la memoria non la
si può cancellare con un'imbiancatura alle pareti. La prigione di
Farah è un lagher israeliano dove torturavano i Palestinesi.
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