Daren è una donna
palestinese che è stata prigioniera politica fino a poco tempo fa.
Fotografa e poetessa. Ma nella prigione israeliana non poteva certo
usare la fotografia come linguaggio. Doveva resistere 5 mesi nella
prigione israeliana di Damoun. Un modo per esprimere la sua
resistenza al carcere e l'ingiustizia quotidiana della mancanza di
libertà, Daren l'ha trovato lo stesso.
Daren ha disegnato, in
modo molto semplice, le sensazioni, le emozioni sue e di chi ha
provato la prigionia. Mi sono ritrovata nelle cose che dice e disegna
Daren. I suoi disegni, semplici, mi hanno ricordato molto...perchè
vengono dal cuore e dalla sofferenza della prigione.
Solo 3 colori a
disposizione ed avuti di contrabbando, perchè in prigione non ti
lasciano colori né alcun materiale.
Blu, rosso e nero ed una
matita. Come “tele” a volte Daren, ha usato le tovagliette di
carta dei vassoi-cibo. A volte, invece, è riuscita ad avere dei
fogli di carta a righe.
Oggi Daren è fuori dalla
prigione e parla di quei disegni come “arma”. La Resistenza
bianca, ovvero, l'arte diventa uno stato di lotta e resistenza.
Disegno n1. L'arrivo in
prigione. “ Appena sono arrivata, mi hanno confiscato tutto, anche
i vestiti. Ammanettata mi hanno portato in una stanza con le sbarre,
tutta chiusa. Ho chiesto il perchè e mi hanno detto che era motivo
di sicurezza”
Disegno n.2. Nella cella.
Il colore era solo il grigio. All'improvviso ho avuto la necessità
di vedere altri colori. Ho voluto vedere altri colori nei miei occhi
e riverniciare quella porta, chiusa, grigia. E così l'ho disegnata:
il nero è il colore che abita questa cella, il rumore che vivo tutto
il tempo con le donne prigioniere. L'azzurro è il colore
dell'occupazione. Il desiderio che ho vissuto, la speranza, il dolore
sono il rosso.”
Disegno n.3. La mancanza
del mare. “Il mare, se lo desideri qui in prigione, ti manca ancora
di più. Il
parlare del mare per tutti i popoli del mondo è normale, ma parlarne
in prigione, e in Palestina, e con i prigionieri di sesso femminile,
in particolare, ha avuto una chiave speciale, perché non c'è
prigioniero che abbia visto il mare nella loro vita; se non
attraverso le immagini. Il motivo è che c'è il muro dell'apartheid,
E l'occupazione che impedisce ai palestinesi di andare sulla costa.
Intere generazioni che non hanno mai visto il mare.
Disegno
n.4-5. La porta. "La visione più dura che ho della prigione è
quella porta di ferro che mi accompagna di continuo. La vedo sempre
come un cielo quadrato.Sentivo che avrei spezzato questa porta o
l'avrei aperta, volevo uscire, quanto era difficile rimanere
confinati in un posto controllato. Volevo dare un pugno a questa
porta e ho iniziato a disegnare cerchi su di esso, ma questi buchi
apparivano alla fine come ulteriori vincoli."
Disegno
n. 6. La luce. "In cella spengono la luce alle 11 di sera. Non
ci sono più rumori e c'è calma e tranquillità. E' il momento nel
quale vorrei scrivere o disegnare o leggere, ma non c'è luce. Allora
l'unica luce che c'è entra dalle sbarre della porta. Per avere
quella luce dalle fessure a maglie piccole, devo sdermi sul
pavimento. E' lì, così, che ho scritto le mie poesie e disegnato
dalla prigione."
Disegno
n. 7. La prigione penna.
“Dire che israele è democrazia e libertà d'espressione è la più
grande menzogna. Non permettono nemmeno penne e matite per scrivere,
ai palestinesi. Il Paese che arresta un poeta, per aver scritto un
poema e vieta l'uso di penne in carcere, è un Paese razzista, non
democratico. E' l'occupazione”.
Ho ripreso le parole e i
disegni di Daren da un articolo di stampa palestinese uscito qualche
giorno fa. Riaffiorano i ricordi che mi porterò dentro per sempre e
ne faccio ricchezza d'averla vissuta. Cercavo di spiegarlo proprio
ieri a voce... Lì in quella cella mi sono liberata; perchè non ho
più paure.
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