lunedì 25 febbraio 2019

CAPIRE LA PRIGIONIA




Daren è una donna palestinese che è stata prigioniera politica fino a poco tempo fa. Fotografa e poetessa. Ma nella prigione israeliana non poteva certo usare la fotografia come linguaggio. Doveva resistere 5 mesi nella prigione israeliana di Damoun. Un modo per esprimere la sua resistenza al carcere e l'ingiustizia quotidiana della mancanza di libertà, Daren l'ha trovato lo stesso.
Daren ha disegnato, in modo molto semplice, le sensazioni, le emozioni sue e di chi ha provato la prigionia. Mi sono ritrovata nelle cose che dice e disegna Daren. I suoi disegni, semplici, mi hanno ricordato molto...perchè vengono dal cuore e dalla sofferenza della prigione.
Solo 3 colori a disposizione ed avuti di contrabbando, perchè in prigione non ti lasciano colori né alcun materiale.
Blu, rosso e nero ed una matita. Come “tele” a volte Daren, ha usato le tovagliette di carta dei vassoi-cibo. A volte, invece, è riuscita ad avere dei fogli di carta a righe.
Oggi Daren è fuori dalla prigione e parla di quei disegni come “arma”. La Resistenza bianca, ovvero, l'arte diventa uno stato di lotta e resistenza.

Disegno n1. L'arrivo in prigione. “ Appena sono arrivata, mi hanno confiscato tutto, anche i vestiti. Ammanettata mi hanno portato in una stanza con le sbarre, tutta chiusa. Ho chiesto il perchè e mi hanno detto che era motivo di sicurezza”

Disegno n.2. Nella cella. Il colore era solo il grigio. All'improvviso ho avuto la necessità di vedere altri colori. Ho voluto vedere altri colori nei miei occhi e riverniciare quella porta, chiusa, grigia. E così l'ho disegnata: il nero è il colore che abita questa cella, il rumore che vivo tutto il tempo con le donne prigioniere. L'azzurro è il colore dell'occupazione. Il desiderio che ho vissuto, la speranza, il dolore sono il rosso.”

Disegno n.3. La mancanza del mare. “Il mare, se lo desideri qui in prigione, ti manca ancora di più. Il parlare del mare per tutti i popoli del mondo è normale, ma parlarne in prigione, e in Palestina, e con i prigionieri di sesso femminile, in particolare, ha avuto una chiave speciale, perché non c'è prigioniero che abbia visto il mare nella loro vita; se non attraverso le immagini. Il motivo è che c'è il muro dell'apartheid, E l'occupazione che impedisce ai palestinesi di andare sulla costa. Intere generazioni che non hanno mai visto il mare.

Disegno n.4-5. La porta. "La visione più dura che ho della prigione è quella porta di ferro che mi accompagna di continuo. La vedo sempre come un cielo quadrato.Sentivo che avrei spezzato questa porta o l'avrei aperta, volevo uscire, quanto era difficile rimanere confinati in un posto controllato. Volevo dare un pugno a questa porta e ho iniziato a disegnare cerchi su di esso, ma questi buchi apparivano alla fine come ulteriori vincoli."

Disegno n. 6. La luce. "In cella spengono la luce alle 11 di sera. Non ci sono più rumori e c'è calma e tranquillità. E' il momento nel quale vorrei scrivere o disegnare o leggere, ma non c'è luce. Allora l'unica luce che c'è entra dalle sbarre della porta. Per avere quella luce dalle fessure a maglie piccole, devo sdermi sul pavimento. E' lì, così, che ho scritto le mie poesie e disegnato dalla prigione."


Disegno n. 7. La prigione penna. “Dire che israele è democrazia e libertà d'espressione è la più grande menzogna. Non permettono nemmeno penne e matite per scrivere, ai palestinesi. Il Paese che arresta un poeta, per aver scritto un poema e vieta l'uso di penne in carcere, è un Paese razzista, non democratico. E' l'occupazione”.

Ho ripreso le parole e i disegni di Daren da un articolo di stampa palestinese uscito qualche giorno fa. Riaffiorano i ricordi che mi porterò dentro per sempre e ne faccio ricchezza d'averla vissuta. Cercavo di spiegarlo proprio ieri a voce... Lì in quella cella mi sono liberata; perchè non ho più paure.


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