Tutte le notti in
Palestina ci sono le scene dell'olocausto. 200 mila palestinesi
devono passare la notte nelle gabbie dei checkpoint per andare nei
territori rubati da israele e denominati “del '48”.
Abbiamo deciso di passare
una notte in uno di questi checkpoint, in quello di Qalquilja. Ma
inizio dal viaggio per arrivare lì. Poi capirete il perchè...
Partiamo da Nablus dopo
aver aspettato il service (che è l'ultimo della giornata) per
un'ora. Sono le 18,00. Arriviamo ad Azzoun e troviamo il primo
mostro: i soldati nazisti israeliani sono in tutto il villaggio. Da
lì dobbiamo prendere un taxi per arrivare al villaggio di Jaiuss, da
un amico con il quale andremo al checkpoint, ma vista la situazione
ci fermiamo per un po' da un altro amico ad Azzoun. Ci spiega che
c'era stato un incidente d'auto fra coloni e palestinesi sulla strada
principale, i coloni sono morti e i palestinesi sono in gravissime
condizioni. Per questo motivo i soldati hanno chiuso la strada e
deviato il traffico dentro al villaggio di Azzoun. “Deviato”
significa che anche i coloni israeliani devono passare di lì. Così
i soldati devono “proteggerli”. Loro con le armi spianate avevano
paura delle pietre che tiravano gli shebab. C'è stata una tale
pioggia che non hanno nemmeno capito da dove arrivavano, così i
soldati hanno sparato alla cazzo (tanto per cambiare). Il tutto è
finito in un'ora.
Dopo aver cenato ad
Azzoun prediamo il taxi e arriviamo a Jaiuss, sono le 21,30. Dopo
circa un'ora il nostro amico di Jaoiuss ci dice che sono arrivati i
soldati israeliani nel villaggio, 6 jeeps. Avevamo solo un paio d'ore
per dormire prima di andare al checkpoint e ovviamente con 6 jeeps
che girano nel villaggio, non s'è dormito. I cani hanno abbaiato
tutta la notte...
Alle 2,30 arriva il taxi
per andare al checkpoint di Qalquilja, dove arriviamo 20 minuti dopo.
Fa freddo, per terra è
tutto fango. I palestinesi usano i vecchi cestelli delle lavatrici
per fare i fuochi e scaldarsi. Ci sono diverse bancarelle per il
ristoro. Ancora non so cosa accadrà.
Il checkpoint è un
labirinto di gabbie tipo percorso degli animali da macellare. Seduta
per terra, in un angolo, davanti al cancello c'è una donna che
aspetta.
Alle ore 03,00 due
soldati aprono il cancello dei tornelli che porta alle gabbie.
Alle 03,30 il gruppo che
si è intanto formato lì davanti inizia ad entrare. Nel giro di 40
minuti arrivano autobus e taxi da ogni angolo della West Bank:
Nablus, Ramallah, Azzoun, etc.etc.. Il percorso esterno del
checkpoint è pieno zeppo di persone e la tripla cosa si forma anche
fuori in mezzo alle bancarelle. Cammina il cordone di gente, ma
continuano ad arrivare, sono tantissime/i. Sono tutti pigiati l'uno
all'altro, qualcuno stremato più psicologicamente che fisicamente,
tenta di passare davanti a due o tre persone e partono le liti. In
una situazione così è più che umano.
Appunto...”umano” è
quello che continuo a ripetermi vedendo tutte quelle persone come
carne al macello. Sono persone. Una voce femminile dalla torretta del
checkpoint parla in ebraico e dice ogni tanto “muoversi, muoversi”
oppure “state in fila”. Ecco, quella voce che ha il culo al caldo
in ufficio/torretta non è umana, non lo è mai stata. Dal cordone di
persone qualcuno mi grida “filma, filma...”.
Continua per ore questa
mostruosità ,anche perchè una volta passate le gabbie hanno il
controllo uno per uno. Devono togliersi tutto dalle tasche,
controllare il permesso, mettere il dito nel rilevatore di impronte.
Fa freddo, molto freddo,
sono le 05,00 e ancora c'è tutta quella gente che deve entrare,
molti anziani.
Un palestinese mi dice
che sono 25 anni che va a lavorare nei terreni rubati da israele, che
prima questo checkpoint non c'era (è stato costruito nel 2007), ora
è più difficile “andare dentro”. E' l'espressione che usa lui
“andare dentro”. Se di là è il dentro, questo è il fuori? E
quando siamo di là, di qua diventerà dentro? O nella mente, sarà
sempre “fuori”?
Altri mi chiedono di dove
sono, non posso riprenderli in video, perderebbero il permesso per
entrare, ma sono contenti che siamo lì, almeno per una notte c'era
qualcosa di diverso in quel posto orribile.
L'uomo del caffè insiste
per farmi il caffè o il tè, ma ne ho già bevuti troppi... Così
dopo mezz'ora arriva con una camomilla. Non ha voluto i soldi per
tutta la notte da noi.
Gli chiediamo come vanno
gli affari, vista la quantità di gente.. Ci dice...: “ io ho due
figli, uno di un anno e uno di 4 anni. Arrivo qui all'una e vado via
alle 9, non ho un secondo lavoro. Guadagno 100 shekel a notte, 50 mi
vanno via per comperare il materiale e le spese per venire qui.
Facciamo una vita miserabile, io che sto qui e loro che devono
passare il checkpoint”.
In mezzo a tutto
quest'inferno, quest'uomo è umano. La sua umanità ha fatto sì che
si preoccupasse di farmi una camomilla, di non volere soldi.
Arriva un altro gruppo,
mi dicono “veniamo dal campo rifugiati di Askar, Nablus”.
C'avevano messo ore per arrivare. E ci credo...se già solo noi
partendo di pomeriggio abbiam passato quello che vi ho raccontato
all'inizio..
Alle 04,30 c'è stato il
richiamo alla preghiera, pochissimi sono usciti dalle fila per andare
a pregare. Tutti sono rimasti in fila e hanno pregato in piedi, senza
spazio per muoversi.
Sono le 06,00, è l'alba.
C'è ancora gente che arriva. Gli altri sono già “dentro” e fra
poco inizieranno a lavorare. Finiranno alle 16,00 circa, dovranno
ripassare questa inferno e poi ci vorranno ore di viaggio per essere
a casa. Saranno a casa verso le 19,00, ceneranno e poi andranno a
dormire. Alle 03,00 devono essere di nuovo qui al checkpoint.
Moltissimi non rientrano
a casa, hanno il permesso per dormire nel '48. Ma nei territori del
'48 non si possono affittare posti letto o camere ai palestinesi, è
l'apartheid. Così chi costruisce case rimane a dormire nelle case in
costruzione, per terra, coprendosi con quello che c'è. Per tutta la
settimana.
Dopo quello che ho visto
non so se sia peggio saltare il muro senza permesso o affrontare
questo. Nell'inferno non c'è il peggio, brucia tutto uguale.
Forse qualche sionista
commenterà che in fondo quelle gabbie stile macello non portano mica
alle camere a gas... Certo, è vero, ma davanti ad essere torturati
tutta la vita, nemmeno qui, so cosa sia peggio. E soprattutto: non so
se sia peggio che preme con grilletto in un secondo e ti fa fuori o
chi ti tiene in vita per tutta la vita torturandoti e gode di ciò.
Non lo so, per me sono
tutti discorsi disumani. Ma in fondo, gli israeliani non sono esseri
umani.
p.s: non sono riuscita a
dire una parola di conforto o di speranza a quelle persone. Perchè
credo, oramai, che non sia una questione di far conoscere la verità.
Anche se la verità si sa, si fotte. Sapete il perchè? Perchè per
tutti coloro che non devono passare da quel posto, e che sono
privilegiati nel non passare una vita così, sapere e quindi dover
fermare tutto questo significa sacrificare la propria vita di
privilegiati.
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