Chi mi ha seguito nei due
anni di Palestina sa chi è Jehad Alhindi, il guerriero di Tell. Ma
nell'aggiornarvi sulla sua situazione, lo ripresento a chi non lo sa.
Jehad è un amico, un
compagno del villaggio di Tell, Nablus. E' il maschio più grande in
famiglia perchè il padre è morto dopo essere stato imprigionato dai
soldati israeliani. Qundi, Jehad è colui che ha un po' la
responsabilità della famiglia.
Jehad è uno che non si
piega all'occupazione nazista israeliana e non sta a compromessi. E'
un lottatore.
La prima volta che gli
israeliani vennero per prendere Jehad, attaccarono il villaggio,
staccarono la corrente elettrica dappertutto. Gli shebab erano in
strada. Gli israeliani spararono nelle gambe a Jehad, che però
riuscì a raggiungere l'ospedale per farsi curare. Nel frattempo nel
villaggio, gli israeliani presero in ostaggio la sua famiglia e
dissero alla madre “fallo tornare qui perchè se lo prendiamo noi,
tuo figlio, te lo riportiamo morto”. Lo vidi quella notte/mattina,
che camminava a fatica e gli avevano sparato anche una rubber bullet
in testa. Jehad scelse di non scappare e si presentò ai soldati.
Sapeva che l'avrebbero imprigionato ed era ferito. Io ero a pezzi e
lui mi ripeteva “ma fisc muschela” (non c'è problema). Fu la
prima volta che mi sentii di dire “israele mi ha bruciato il
cuore”.
Dopo un mese di udienze
alle quali partecipavo sostando davanti alla prigione, il tribunale
militare israeliano diede a Jehad 5 mesi e circa 500 euro di cauzione
per il rilascio (io lo chiamo riscatto). Dalla mia pagina facebook,
chi era in contatto con me, fece partire spontaneamente una raccolta
fondi. La famiglia accettò quel dono e Jehad fu liberato dopo 4
mesi.
Quando mi telefonava
dalla prigione ero felice, ma al tempo stesso stringevo le chiappe
perchè sapevo benissimo che israele gli dava il telefono e israele
aveva quindi il mio numero ed ascoltava cosa dicevamo (dei gran
strafalcioni lui in inglese ed idem io in arabo).
Il video del momento del
rilascio di Jehad è sul mio canale youtube, ma quelle immagini
emozionanti sono anche alle fine del film “israele, IL CANCRO”.
Agosto 2016, io non sono
più in Palestina perchè sono stata rapita e deportata. Al
checkpoint di Howwara, Nablus, i soldati israeliani sparano
nuovamente alle gambe di Jehad. Il proiettile gli entra da davanti e
gli esce da dietro. Jehad viene portato al Rafhidia Hospital di
Nablus ed operato. Viene dimesso il giorno successivo.
Poche ore dopo, quando
arriva la notte, arrivano i soldati israeliani nel villaggio di Tell
e portano via un'altra volta Jehad.
Da allora si aspetta e
Jehad dorme su un letto di ferro tutte le notti, in cella. Non hanno
ancora formulato nessuna accusa, quindi non si può far nulla.
Oggi 16 gennaio 2016 c'è
stata l'udienza. E' stata nuovamente rimandata al mese prossimo.
Sapete come funziona il
“rimandare un'udienza al tribunale militare israeliano”? Ora ve
lo spiego.
Ammanettato e a volte con
i piedi legati vieni portato dalla prigione al “tribunale”. Le
udienze iniziano alle 9,00 del mattino e terminano attorno alle
15,00. Non c'è un ordine di orario e non sai quando sarà la tua.
Aspetti per ore e non c'è il bagno. Per questo motivo, i
prigionieri, dalla sera prima non mangiano e non bevono sennò sanno
già che il giorno successivo si faranno tutto nei pantaloni o devono
trattenere e visto che sarà l'unica volta che avranno la visione
della mamma o dei cari....
I parenti, invece, che
assistono all'udienza (max 2) devono riuscire entrare e passare tutti
i controlli dalle 8,30 alle 8,45. Chi non riesce ad entrare in quei
15 minuti non entra più. Li fanno attendere per tutte quelle ore in
uno stanzino piccolo, senz'aria, dove non puoi portarti nulla e non
puoi uscire fino alla fine dell'udienza che ti riguarda; o fino alle
15,00 perchè hai aspettato fino a quel momento che ci fosse
l'udienza.
Se l'udienza c'è, il
prigioniero è “fortunato” perchè almeno avrà avuto la
possibilità di rivedere la mamma.
Jehad Alhindi, il
guerriero di Tell, prigioniero politico, colpevole di essere
Palestinese; si è fatto tutti e due i compleanni in cella.
Le persone come Jehad
sono quelle che fanno la differenza in un mondo che fa pena. Vorrei
dirgli che sono orgogliosa di lui e credo che anche altri qui in
Italia lo siano.
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