Egregi Ministri, Console e funzionari,
sono Samantha Comizzoli, cittadina italiana. Sono a scriverVi su un dialogo iniziato con Voi mentre mi trovavo sotto sequestro presso la prigione di Givon, Tel Aviv.
Vi scrivo per porVi a conoscenza di fatti da me subiti dal gruppo terrorista che mi ha sequestrata.
- in data 16 maggio 2015 mi trovavo sulla strada principale Nablus - Ramallah all’altezza del checkpoint di Howwara. Stavo camminando con la mia telecamera per filmare un gruppo di palestinesi che camminava a lato della strada con le bandiere per celebrare la ricorrenza della Nakba. Davanti a noi si sono posizionate 3 jeeps militari israeliane ed uno di loro ha dato ordine ad un soldato di posizionarsi a terra, sull’asfalto e diventare “cecchino”. Il cecchino ha mirato due bambini di 16 anni vicino a me. In quel momento, dato il mio chiaro aspetto occidentale e di donna, ho aperto le braccia e ho fatto da scudo umano ai due bambini. Il cecchino ha, allora, alzato la mira da terra. Mi sono mossa in modo orizzontale perchè stava mirando al mio corpo, ma nonostante il movimento orizzontale, il cecchino ha sparato una prima rubber bullet mirando al cuore e ferendomi al seno sinistro; ed una seconda rubber bullet che ha ferito dapprima il mio braccio sinistro e che ha poi terminato la sua corsa nella maschera antigas di un fotografo, rompendola e colpendolo all’occhio sinistro. Vi allego link del video dell’accaduto (min. 0,51) e foto di quando ho aperto le braccia. https://www.youtube.com/watch?v=IhYWERtvjAY
- in data 11 giugno 2015 (ore 10,30) ero su un taxi in uscita da Nablus, su una strada che porta a Qalquilja. Il taxi è stato affiancato da una jeep militare israeliana che poi si è portata davanti costringendo il rallentamento; sempre in corsa, i soldati israeliani sono scesi dal retro della jeep e hanno circondato il taxi puntandoci le armi. Io mi trovavo sul retro. I soldati mi hanno aperto la portiera dell’auto puntando i fucili e chiesto i documenti. Non ho dato loro alcun documento, dicendo che non li avevo, poichè sapevo di essere davanti a modalità terrorista. I soldati israeliani hanno continuato ad interrogarmi e ho chiesto di chiamare il mio consolato, ma mi hanno rifiutato la telefonata. Dopo un paio d’ore un soldato ha preso la mia borsa e ha infilato le sue mani all’interno, tirando fuori il contenuto, e trovando il passaporto italiano. Ho richiesto di parlare con il Consolato e ho ricordato loro che non potevano trattenermi per più di due ore, ma loro mi hanno risposto “possiamo fare quello che vogliamo, siamo soldati israeliani”. Da quel momento hanno iniziato a dirmi che “non ero in arresto, ma dovevo andare con loro”. Sul posto è arrivato un tizio, mai identificato, ma che presubilmente faceva parte dei servizi segreti israeliani e la polizia israeliana. Dopo 4 ore nel taxi, hanno lasciato andar via il taxi, mettendo la maschera antigas trovata nel bagagliaio, nella mia borsa (nonostante un altro passeggero avesse dichiarato che era sua). Sono rimasta per mezz’ora sulla strada con un soldato che mi puntava il fucile all’altezza della testa, io ero seduta al ciglio della strada, e l’auto della polizia israeliana. Mi hanno fatta salire sull’auto e mi hanno ripetuto che non ero in stato d’arresto, ma che mi portavano all’insediamento illegale di Ariel. Giunti lì, dopo aver aspettato, sono stata interrogata da due israeliani (non conosco tutt’ora la loro qualifica e non portavano alcuna divisa). Mi sono rifiutata di firmare fogli in ebraico che mi hanno posto e di rispondere a tutte le loro domande. I due tizi mi hanno fotografata, preso le impronte digitali e preso il dna. Dopo un’altra attesa e dopo l’ennesino divieto di contattare il Consolato italiano, sono stata traferita nella prigione israeliana di Ben Gurion. Lì ho avuto un altro interrogatorio, da 3 persone. Ho ribadito di voler chiamare il Consolato Italiano e ho ribadito altresì di non voler rispondere ad alcuna domanda. Fino a quel momento, in tutti gli interrogatori, mi veniva contestato di non avere “visto” israeliano e quindi di presenza illegale. Ho riposto loro che io mi trovavo in Palestina, non in israele, e che pertanto non andavo da loro a chiedere nessun visto. Alle ore 23,00 mi facevano, finalmente, telefonare al Consolato Italiano in Tel Aviv. Dopo la telefonata sono stata sbattuta in cella d’isolamento. In quel momento ho dichiarato: di ritenermi “prigioniero politico”, di iniziare lo sciopero della fame e di non voler uscire dalla prigione fintanto che non venissero rilasciati anche tutti i bambini palestinesi rapiti da israele (circa 300). Nella cella d’isolamento a Ben Gurion sono rimasta per due giorni e mezzo. Alla cella veniva accesa la luce di notte e dopo le prime ore hanno acceso l’aria condizionata, che è rimasta accesa per tutta la mia permanenza, raggiungendo una temperatura glaciale. Nessuno, nelle ore che ero chiusa lì dentro, è mai venuto a verificare il mio stato e nella cella non c’erano telecamere. Sono uscita 5 minuti al mattino e 5 minuti al pomeriggio. Fino a quando sono stata traferita nella prigione israeliana di Givon. All’arrivo a Givon sono stata messa in una gabbia (container) di due metri per uno con un soffitto che potevo toccare con la mano, conteneva un water e l’unica apertura verso l’esterno era un buco di 10 cm sulla porta che non dava all’esterno, ma al corridoio delle ispezioni. Sono rimasta lì per diverse ore, non ho mai bussato e chiesto aiuto, nonostante fosse difficile resistere. In un altro container adiacente al mio, un uomo rantolava e si lamentava, mentre veniva (molto probabilmente) buttato contro la parete (che ci divideva) con un getto d’acqua. Dopo molte ore sono venuti a prendermi e mi hanno portato ad un altro interrogatorio al quale non ho risposto e ho ribadito la mia posizione. Mi hanno risposto che se continuavo lo sciopero della fame rappresentavo un pericolo per la sicurezza e quindi per il resto della mia permanenza, la mia cella, sarebbe stata quella gabbia. Ho interrotto lo sciopero della fame. Sono stata ispezionata corporalmente, ispezionata nel bagaglio e privata dell’unico libro che avevo, del tabacco e della macchinetta per fare le sigarette (altre prigioniere avevano questo materiale). Sono stata portata nella cella n. 108. Dopo un giorno e due notti mi hanno portata in un altro container c’erano due uomini ed una soldatessa. Uno dei due uomini traduceva in italiano. Mi hanno chiesto se ero pronta a firmare quei fogli e tornare in Italia e ho risposto “no” e poi mi hanno detto “ci vediamo fra un mese”. Ho ricevuto visite dal Console Italiano a Givon che ha voluto chiedere ai carcerieri di chiarire la mia posizione. Dopo tanta insistenza e un pò di dondolamento hanno risposto “detenzione amministrativa”. Due giorni dopo è arrivata la comunicazione che sarei stata deportata in poche ore. Sono stata portata, dapprima di nuovo a Ben Gurion, e poi con un’auto e due soldati israeliani, direttamente alla porta dell’aereo che mi ha portata a Fiumicino. Sono stata deportata per 10 anni (comunicato dagli israeliani a voce).
Premesso tutto quanto sopra esposto, Vi pongo alcune riflessioni/domande:
- il 16 maggio un soldato mi ha sparato, ci sono le prove dell’accaduto. Vi risulta che si possa sparare a vista ad una donna italiana senza finire sotto indagini? Senza dover pagare per questo? Il colpevole è lì visibile nel filmato, quindi sapete chi è il terrorista che mi ha sparato. Chiedo delucidazioni.
- l’11 giugno sono stata rapita in Palestina dai soldati israeliani che hanno attaccato il taxi. Ho subito torture psicologiche e sono stata nelle loro mani per una settimana. Va tutto bene? La Francia o la Germania, possono venire in Italia ed attaccare un taxi in corsa e rapire una cittadina? E’ così che funziona?
- Ciò che mi veniva contestato era che non avevo il visto israeliano per restare in Palestina.... Scusate, ma perchè dovrei avere il visto di qualcun altro? Ma, soprattutto: perchè vi siete adoperati per farmi rilasciare, sì, ma per farmi deportare davanti ad un gruppo terroristico (israele) che mi impedisce di stare in Palestina e mi ha rapita?
- israele può davvero impedirmi di andare in Palestina? La Francia piò impedire ad un cittadino tedesco di stare sul territorio italiano o di andare sul territorio italiano? E può farlo usando questi mezzi, quelli dei terroristi?
- per il mio rilascio, il governo italiano, ha pagato un riscatto?
Poste queste doverose domande in nome dei diritti umani e della Giustizia,
sono certa che Voi tutti vi impegnerete a far rispettare il mio diritto di ritornare in Palestina senza dover aspettare che il gruppo terrorista che mi ha rapita si sia dimenticato di me (10 anni). Io, intendo far valere il mio diritto di vivere in Palestina. Io, intendo essere libera. Diritto che va difeso per tutti gli internazionali e per ogni essere vivente.
Chiedo con la medesima che si aprano indagini sui presunti colpevoli e che vengano perseguiti qualora si intravedesse reato e di essere avvisata.
Distinti saluti,
Samantha Comizzoli